Veleno, la serie che gestisce il proprio materiale
Di Barbara Belzini 29 Maggio 2021
Non sono una fan della cronaca nera, anzi, al contrario, me ne tengo sempre lontana. Ma ho girato intorno per molto tempo a questa storia di Veleno, dei Diavoli della Bassa, e delle influenze che avrà sull’inchiesta di Bibbiano, e quando in questi giorni è uscita la serie su Prime, mi sono decisa a guardarla.
Non mi permetto, proprio non oso, entrare nel merito della vicenda (avvenuta tra il 1997 e il 1998 nella bassa modenese con venti persone accusate da bambini di abusi sessuali, sedici bambini sottratti alle famiglie, suicidi, morti in carcere, condanne, assoluzioni, il satanismo sullo sfondo e tanta attenzione mediatica) e sulle tante fasi processuali che sono lunghe, complesse, che hanno portato a dimissioni di giudici e licenziamenti di periti, sulla dimensione economica del sistema degli affidi, tutti elementi di cui potete trovare ampia documentazione in rete: ma “Veleno”, scritta e diretta da Hugo Berkeley, documentarista inglese, prodotta da Fremantle Italy vale la pena. Berkeley lavora bene e twitta poco, e la sua ricostruzione degli avvenimenti è ampia e gestita in modo meno teatrale dell’omonimo podcast di Pablo Trincia del 2017 e dal libro successivo del 2019, che ha ispirato la serie true-crime.
Ma quali sono le differenze tra il racconto narrato da Trincia e le cinque puntate di Berkeley? Che la serie riesce a far parlare tutti (cosa che a Trincia evidentemente non era riuscita perché la sua inchiesta e la sua ricostruzione sul “falso ricordo” – che parzialmente è una delle conclusioni dell’inchiesta giudiziaria – veniva giudicata “di parte”) e intervista la psicologa Valeria Donati, i ragazzi ormai cresciuti che continuano a sostenere di essere stati abusati (che hanno fondato il movimento “Voci vere, vittime della bassa modenese”, nato per tutelare gli interessi delle vittime), e anche il fondatore della Onlus Hansel e Gretel, Claudio Foti, che attacca Trincia anche duramente. Oltre a questo, la serie riesce ad andare oltre, a integrare nella propria ricostruzione il lavoro fatto da Trincia e da Alessia Rafanelli, fino ad arrivare all’inchiesta di Bibbiano.
Sfilano tante figure, l’avvocato Patrizia Micai, che è cresciuta insieme a questo processo, Lorena Morselli, che ha girato tutte le trasmissioni d’Italia a raccontare la sua storia e che è scappata all’estero per far nascere altrove l’unico figlio che poi le rimarrà, sua figlia che non vuole vederla e non vuole parlarle anche se legge le sue lettere, ed è impressionante quanto si assomigliano, la famiglia Tonini, che hanno accolto per qualche mese uno dei bambini coinvolti nell’inchiesta e che per anni hanno raccolto materiale sugli avvenimenti, i profili di chi non ha mai accusato i genitori di niente, di chi ha realizzato alla fine di essersi inventata tutto.
E’ un’opera dura e seria, che raccoglie molta sofferenza sia nei genitori che nei figli, e che anche quando arriva a raccontare qualche momento di riconciliazione, non lascia mai un senso di serenità riconquistata, di pace, di ricomposizione, ma una enorme frattura personale, familiare, sociale, impossibile da ricomporre.
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