Blitz contro la ‘ndrangheta, 22 arresti. Sequestrata una società a Piacenza

16 Giugno 2020 16:16

Tocca anche Piacenza l’operazione “Libera fortezza” che ha potato all’esecuzione di misure cautelari personali e patrimoniali nei confronti di 22 soggetti appartenenti o contigui alla cosca della ‘ndrangheta “Longo Versace” di Polistena (Reggio Calabria). Le accuse, a vario titolo, sono di associazione di tipo mafioso, usura, estorsione, riciclaggio, esercizio attività finanziaria abusiva, detenzione illegali di armi, tutti aggravati dalla finalità e dal metodo mafioso.
La complessa e articolata attività investigativa, convenzionalmente denominata “Libera Fortezza”, è stata avviata dalla Compagnia Carabinieri di Taurianova nel 2014 e successivamente integrata e riattualizzata, con ulteriori indagini dei carabinieri e anche con l’apporto specialistico del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Reggio Calabria, acclarando ripetute condotte delittuose anche molto recenti.
La genesi dell’indagine è rappresentata da un mirato controllo dei Carabinieri della Stazione di Polistena effettuato nei confronti di un imprenditore locale, il quale confidava ai militari le numerose difficoltà economiche che stava attraversando e di essere sotto il giogo di esponenti della criminalità organizzata locale. L’uomo infatti, era stato costretto a ricorrere a svariati prestiti, risultati poi usurari e attuati con modalità estorsive.
Lo sviluppo dell’attività investigativa ha permesso di individuare altre numerose vittime e di appurare quindi l’esistenza di una vera e propria rete di usurai ed estortori facente capo alla nota e giudiziariamente riconosciuta cosca di ‘ndrangheta “LONGO-VERSACE”, la quale, attraverso i suoi affiliati e avvalendosi della forza di intimidazione e della condizione di assoggettamento e omertà del territorio, aveva lo scopo di:
– conseguire vantaggi patrimoniali dall’erogazione di prestiti usurari a imprenditori e commercianti in difficoltà economiche e dall’imposizione di pretese estorsive;
– creare un sistema di pronta reperibilità del credito, basato sulla concessione abusiva di finanziamenti al di fuori del circuito bancario autorizzato, acquisendo direttamente o indirettamente la gestione e/o il controllo di attività economiche nei più svariati settori, per poi riciclare il denaro attraverso il reimpiego di assegni “in bianco” pretesi dalle vittime, con la compiacenza di altri imprenditori;
– mantenere il controllo egemonico sul territorio, realizzato attraverso la sottoposizione delle vittime ad una condizione di dipendenza economica, ma anche attraverso il compimento di atti intimidatori;
– commettere delitti contro il patrimonio, contro la vita e l’incolumità e individuale e le armi, e intervenire nelle controversie altrui al fine di consolidare il controllo egemonico del territorio. Tra queste ultime, numerosi sono gli episodi in cui i sodali si rivolgevano ai vertici dell’organizzazione per risolvere in proprio favore minacce ricevute, danni, truffe subite, ma anche per la raccolta della legna, o risolvere il problema della concorrenza di altri esercizi commerciali.
In tale contesto, la Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia, delegava al locale Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza, con particolare riferimento agli episodi di usura accertati nel corso delle indagini, appositi approfondimenti circa la natura dei prestiti personali pattuiti tra i sodali e le vittime.
All’esito, valorizzando le funzioni proprie della Guardia di Finanza nella prevenzione e contrasto ad ogni forma di infiltrazione della criminalità nel tessuto economico del Paese, il Gruppo Tutela Economia del citato Nucleo P.E.F., riscontrava il superamento, in tutti i casi accertati, del tasso cd. “soglia” previsto per legge – ovvero del limite oltre il quale, nella restituzione di un prestito, si commette il reato di usura –calcolando in circa euro 144.000, gli interessi indebitamente corrisposti dai malcapitati, anche attraverso condotte estorsive aggravate dal metodo mafioso.

Oltre 5 milioni di euro il valore dei beni sequestrati, un patrimonio secondo gli investigatori illecitamente accumulato e costituito da 45 immobili, beni mobili, disponibilità finanziarie e quote societarie, nonché dagli interi compendi aziendali di nove imprese. Tra queste anche una con sede a Piacenza, esercente l’attività di vendita e noleggio di autovetture senza conducente, trattori, motocicli, roulotte e barche.

L’operazione è scattata oggi nelle province di Reggio Calabria e Imperia, la complessa e articolata attività investigativa è stata avviata dalla Compagnia Carabinieri di Taurianova nel 2014 e successivamente integrata e riattualizzata, con ulteriori indagini dei carabinieri e anche con l’apporto specialistico del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Reggio Calabria.
Le ordinanze sono state emesse dal Gip del tribunale di Reggio Calabria Caterina Catalano, su richiesta del Procuratore aggiunto Calogero Gaetano Paci e dai Sostituti Procuratori Giulia Pantano e Sabrina Fornaro.

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