Il meglio del meglio: la prima metà del 2022 raccontata in 5 videogiochi

Di Andrea Peroni 06 Giugno 2022 05:58

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L’industria videoludica mondiale si avvicina velocemente alla stagione degli eventi, mentre saluta una prima metà dell’anno ricca di sostanza. L’acquisizione di Activision Blizzard da parte di Microsoft e dei suoi 70 miliardi di dollari, ad esempio, ha scombussolato il settore all’inizio di quest’anno, questo poco prima dell’arrivo di Steam Deck, la nuova politica di Netflix che ora punta anche ai videogiochi, la rivoluzione del servizio PlayStation Plus (che deve ancora concretizzarsi) e mille altri stravolgimenti. In tutto questo, ovviamente, non sono mancati i veri pezzi forti che interessano l’uomo comune: i videogiochi.

Nonostante le ultime settimane siano state particolarmente fiacche, complici anche i rinvii di alcuni pezzi da novanta, o presunti tali, come Forsaken di Square Enix o il reboot di Saints Row previsto ora per l’estate, la prima metà del 2022 ha portato sui nostri schermi alcuni titoli che hanno saputo stupire in lungo e in largo, chi per la grafica spaccamascella e chi invece, seppur con risorse estremamente contenute, per aver dato in pasto ai giocatori esperienze dolci e soavi in grado anche solo per un attimo di far dimenticare i problemi della vita.
È certamente il caso di Tunic, piccolo gioiello di Andrew Shouldice ispirato ai primi immortali capitoli della saga di The Legend of Zelda. Coloratissimo e cartoonesco, quasi onirico nel suo fantasioso stile di messa in scena, Tunic racconta la storia di una giovane volpina che si ritrova su un’isola sperduta dove enigmi, leggende e tesori sono all’ordine del giorno. Sia per quanto riguarda il concept che per la storia, come del resto non ha mai nascosto Shouldice, il gioco ricorda molto da vicino gli esordi di Zelda, omaggiandoli senza nascondersi troppo ma integrando alcune dinamiche nuove che fanno respirare Tunic e garantiscono un maggior carisma al titolo. In ogni caso, badate bene: non si parla dell’ultimo Breath of the Wild, bensì dei primi Zelda apparsi su NES nel 1986. Il risultato finale è stato davvero eccellente, ancor di più se si pensa che si parla di un videogioco indie – produzioni cioè a budget ridotto e sviluppate da piccoli team o addirittura da una sola persona, proprio come nel caso di Tunic.

Accanto a Tunic, che arriva solo pochi mesi dopo un altro indie in grado di conquistare chiunque, l’ottimo Unpacking, non mancano però alcune produzioni ad altissimo budget capaci di smuovere milioni di persone. In questo caso specifico, decine di milioni. Sì perché Leggende Pokémon: Arceus, il rivoluzionario, almeno per la serie, gioco di Nintendo, aveva già piazzato quasi 7 milioni di copie nella sola prima settimana dalla sua uscita, il che significa che oggi questa cifra potrebbe essere tranquillamente raddoppiata. Forte del nome che porta, Leggende Pokemon: Arceus è stato un prodotto altamente criticato da una grossa fetta del pubblico causa un comparto grafico scandalosamente arretrato, qualcosa di ben poco giustificabile se si pensa al brand di appartenenza e alla disponibilità economica della grande N. Tuttavia, proprio come un libro non si deve giudicare dalla copertina, anche Leggende Arceus nasconde un concept ricco di profondità, figlio di quel The Legend of Zelda: Breath of the Wild che ha fatto scuola e tutto nuovo per una serie, quella Pokémon, bisognosa di novità e pronta a immergersi nel mondo degli open world con questo primo, se vogliamo, esperimento che verrà poi ripreso a fine anno con il duo Pokémon Scarlatto & Violetto. In quel caso, la formula di base sarà nuovamente quella dei classici GDR di Nintendo, dove non mancheranno gli scontri tra i mostri assenti invece nel particolare Arceus, ma è difficile escludere che questo resterà un caso isolato, considerando appunto l’ottima risposta da parte dei fan.

A proposito di mostri, è impossibile parlare dei migliori giochi di questa prima metà dell’anno senza citare uno dei più fulgidi esempi dello straordinario potenziale dell’industria videoludica, quel Horizon: Forbidden West che PlayStation ha pubblicizzato in lungo e in largo tra statue a Firenze, spot durante le partite di Champions League e quant’altro. Secondo capitolo della serie inaugurata da Guerrilla Games nel 2017 con un esordio da sogno per una IP inedita – 20 milioni di copie, mica bruscolini – Horizon 2 ha segnato il ritorno sulle scene della prode guerriera Aloy, l’ultima speranza di un’umanità regredita a una sorta di preistoria più avanzata tecnologicamente e un mondo sull’orlo di una (seconda) apocalisse dovuta, come sempre, alla scelleratezza della nostra razza, avida di potere e ben poco lungimirante. Un comparto grafico a dir poco sbalorditivo, una direzione artistica sopraffina che fa emergere anche le più piccole differenze tra le varie tribù di questo mondo, ma soprattutto i mostri. Anzi, le macchine, per meglio dire. Nel mondo di Horizon, le macchine hanno preso il sopravvento oltre mille anni prima della storia di Aloy, mutando ed evolvendosi fino ad assumere la forma di antiche creature quali pterodattili, tirannosauri, mammut, bufali e giganteschi plesiosauri. Dopo Returnal e Ratchet & Clank: Rift Apart dello scorso anno, Forbidden West è stata l’ennesima conferma della qualità delle produzioni targate PlayStation, ormai una garanzia quando si parla di avventure e personaggi indimenticabili.

 


L’opera di Guerrilla Games non verrà ricordata certo per l’innovazione, ma del resto non tutti i videogiochi nascono per rivoluzionare il medium. Lo stesso discorso può essere fatto per l’apprezzato Lost Ark, MMORPG (massive multiplayer online RPG, per coloro che non hanno dimestichezza con le sigle) sviluppato da Smilegate e pubblicato (e finanziato) nientemeno che da Amazon. Dopo svariati tentativi falliti di entrare nel mondo dei videogiochi, basti pensare al disastroso Crucible durato quanto un gatto in tangenziale, il colosso delle spedizioni di Bezos ha puntato su alcuni cavalli vincenti, e il recente Lost Ark è stato uno di questi. Lanciato originariamente in Corea nel 2019, quest’anno il MMORPG hack’n slash fantasy si è imposto come uno dei titoli più influenti del 2022, toccando in poche settimane la quota di 20 milioni di utenti e sovraccaricando a tal punto i server da costringere Amazon a intervenire per aumentare la disponibilità. Un’impresa non da poco, vista la concorrenza sempre agguerrita in questo campo, ma grazie alle sue dinamiche efficaci e adatte a tutti, e a un quantitativo impressionante di contenuti tra storia principale ed endgame, Lost Ark è senza dubbio una delle sorprese di questa prima parte dell’anno.

Si è parlato di successi, sorprese, conferme e rivoluzioni in questo 2022, eppure c’è un videogioco che è riuscito per certi versi a essere ognuna di queste cose. Un successo stratosferico, con oltre 13.4 milioni di copie in meno di tre mesi, capace di eclissare negli USA l’inarrestabile Call of Duty. Una sorpresa, perché in pochi si aspettavano che potesse diventare un fenomeno di tale portata. Una conferma, per la storia che From Software si porta dietro, e anche una rivoluzione per le produzioni della software house nipponica. Signore e signori, mesdames et messieurs, Elden Ring. Un’opera monumentale, figlia del sottogenere souls costruito e perfezionato proprio da From Software negli anni, immerso in un contesto open world con dinamiche innovative nel quale è il giocatore a scegliere cosa fare del gioco, e non il contrario. Un titolo che predica pazienza e dedizione, da assaporare lentamente per poterne cogliere tutte le piccole ma importantissime sfaccettature e ricostruire, per i più volenterosi, la ricca storia dell’Anello ancestrale – storia scritta da un peso massimo della letteratura, il creatore di Game of Thrones George R.R. Martin. Elden Ring va nella direzione opposta rispetto ai giochi di ruolo degli ultimi anni, volutamente semplificati per abbracciare un pubblico più vasto, e si rivolge invece a coloro che intendono (e devono) spolpare ogni singolo aspetto dello sconfinato Interregno per uscirne vittoriosi. Se i videogiochi sono arte, Elden Ring è l’equivalente della volta della Cappella Sistina del Buonarroti. Un complesso e stratificato mondo, che è tutto da scoprire.

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