The Last of Us Parte 1 vale davvero 80 euro nel 2022?

Di Andrea Peroni 05 Settembre 2022 04:34

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Puntuali come un orologio svizzero, il 2 settembre Sony e Naughty Dog hanno pubblicato The Last of Us su PlayStation 5. Di nuovo. Sì perché come ben suggerisce il sottotitolo Parte 1, un plus per distinguerlo invece dalla Parte 2 uscita nel 2020 in pieno lockdown, il kolossal dei PlayStation Studios da poco uscito non è certo una novità per chi bazzica dalle parti degli hardware nipponici. Lanciato nel 2013 su Ps3 come grande canto del cigno della console insieme poi a Gta 5, e riproposto l’anno successivo con un’edizione rimasterizzata di tutto punto per Ps4, The Last of Us è tornato. Di nuovo. Stavolta con un remake. Il cui prezzo di 80 euro, com’era ovvio che sarebbe stato, continua ancora oggi a far discutere animatamente. La domanda è chiara: il gioco vale la candela?

È chiaro che The Last of Us abbia rappresentato, e continui a rappresentare ancora oggi, una pietra miliare dell’industria del videogioco. Il culmine di un percorso evolutivo del medium da parte di Naughty Dog, già iniziato con Uncharted: Drake’s Fortune molti anni prima, capace di costruire un videogioco intorno a una storia intensa, ricca di emozioni e personaggi indimenticabili, che tranquillamente avrebbe potuto trovare posto sul grande schermo o in tv – guarda caso, Hbo sta lavorando con PlayStation Productions per la realizzazione dell’adattamento televisivo di The Last of Us, il cui debutto è fissato per il prossimo anno. Pedro Pascal, star di The Mandalorian, è stato scelto per interpretare Joel, mentre Bella Ramsey sarà la giovane Ellie.

L’opera di Neil Druckmann, che proprio con questo titolo assunse il ruolo di direttore creativo dello studio dopo molti anni di lavoro, era e resta superlativa sotto molti punti di vista, suscitando emozioni e sussulti in ogni dove. Il dolore e il tormento interiore di Joel, la giovinezza rovinata di Ellie, l’egoismo diffuso della razza umana di fronte a quella che è una vera e propria apocalisse, la diffusione del fungo parassita Cordyceps, che ha fatto emergere i lati più oscuri e preoccupanti di uomini, donne, persino bambini. Se rigiocato oggi, The Last of Us presenta comunque alcune limitazioni, rivolte soprattutto al gameplay. Del resto, si tratta di un videogioco che ha da poco compiuto nove anni. Nove anni durante i quali i videogiochi non sono certo rimasti fermi e sono anzi andati avanti, evolvendosi e modificandosi, cosa che ha fatto la stessa Naughty Dog con i suoi successivi Uncharted 4, Uncharted: L’eredità perduta e The Last of Us 2. In tal senso, l’operazione remake da poco approdato su PlayStation 5 suscitava interesse, specie per come gli sviluppatori hanno descritto l’imponente lavorazione. Le migliorie sono evidenti, ma il perno della discussa riproposizione ha finito per virare, come si poteva abbondantemente sospettare, sul prezzo.

 

 

Una volta avviato il gioco, il tempo sembra essersi fermato al 2013, se non altro per quanto riguarda il gameplay e la storia. The Last of Us: Parte 1 è un’avventura lineare fortemente influenzata dalla narrativa, con dinamiche d’azione e stealth, queste ultime perfette per l’atmosfera e le sensazioni trasmesse al giocatore, che coinvolgono il protagonista principale Joel. Se la storia non ha subito alcun cambiamento (è incluso anche il contenuto aggiuntivo Left Behind con Ellie come protagonista), il gameplay ha visto l’aggiunta di alcuni leggeri miglioramenti e aggiunte dal secondo capitolo (i tavoli da lavoro per la personalizzazione e il miglioramento delle armi, l’interfaccia e il buon lavoro svolto sull’intelligenza artificiale dei nemici, ora molto più reattivi e furbi), e le funzionalità del controller Dualsense di Ps2 sono state integrate a dovere. Al di là di questo, è lo stesso identico gioco che ricordavamo. Niente di più, niente di meno – si segnala però l’assenza del comparto multigiocatore, questo probabilmente in previsione di un gioco standalone che potrebbe uscire nel 2023.

Il grosso del lavoro è stato senza dubbio riservato alle opzioni di accessibilità, che rendono The Last of Us ora fruibile a un pubblico vastissimo con innumerevoli variabili che considerano ausili visivi e uditivi (in questo senso PlayStation sta facendo un immenso lavoro, riconosciuto persino dal boss della diretta rivale Phil Spencer), e al comparto grafico, perfettamente rimesso a lucido grazie a ciò che è stata la Parte 2. Naughty Dog ha svolto un lavoro che in effetti è sbalorditivo, e, almeno graficamente, pone il gioco alla pari o quasi dei migliori videogiochi degli ultimi anni. Andando a lavorare su animazioni, illuminazione sempre perfetta e modelli ora rimessi completamente a nuovo, non senza qualche accorgimento nel design degli ambienti, gli sviluppatori hanno ridato vita e forma a un’opera imprescindibile e intramontabile. La quale, però, in effetti non era ancora tramontata.

The Last of Us: Parte 1 resta un’operazione difficile da inquadrare, per il consumatore medio così come per chi mastica videogiochi da più tempo. Gli elementi da considerare sono tanti, le variabili ancor di più. Quanto siamo disposti a pagare per il nostro intrattenimento? Possiamo davvero relazionare ore di gioco e prezzo, senza pensare alle emozioni e al lavoro dietro queste produzioni? In questo senso, sono imparagonabili gli stessi esborsi di moneta sonante per due giochi come Assassin’s Creed: Valhalla o God of War: il primo richiede centinaia di ore per essere completato, mentre il secondo si attesta sulle 25-30 ore, al netto però di una qualità indubbiamente più elevata.

 

Non si può però dimenticare che The Last of Us è ancora relativamente giovane, tanto da essere ancora radicato nella mente di molti giocatori. Con la Remastered lanciata nel 2014 su PlayStation 4, moltissimi utenti, specie coloro che hanno acquistato per la prima volta una console Sony, hanno avuto l’opportunità di provare il capolavoro di Naughty Dog, e da quel momento sono passati pochi anni. L’operazione ha ad esempio ben poco a che vedere con altri remake che negli ultimi anni hanno invaso il mercato, quali Crash Bandicoot: N. Sane Trilogy, Demon’s Souls, The Legend of Zelda: Link’s Awakening e Resident Evil 2. In quei casi, così come in molti altri, l’intento era quello di rilanciare grandi opere di un passato lontano, che per un motivo o per l’altro non erano più fruibili o comunque invecchiati nelle dinamiche e nella giocabilità. L’opera dei cagnacci di Sony, sotto questo punto di vista, non aveva certo bisogno di un remake. Una tirata a lucido, forse, per restaurare ancora una volta l’edizione rimasterizzata di Ps4, ma non più di questo.

E dunque, ecco il responso alla fatidica domanda posta in apertura: The Last of Us: Parte 1 non vale 80 euro. Non per tutti almeno, e anzi forse li può valere per pochi. Gli sviluppatori si sono certamente dati da fare per restaurare il loro prezioso lavoro, impreziosendo il tutto con poche ma apprezzate innovazioni in chiave di continuità con quello che è stato il sequel del 2020 – molto probabilmente potrebbe essere riproposto presto con una Director’s Cut in stile Ghost of Tsushima o Death Stranding. Dall’altra parte, il gioco mostra il fianco a quelli che sono limiti chiaramente legati al suo periodo di uscita, che questo remake non ha intaccato.

Per chi ha già avuto la fortuna di giocare l’originale The Last of Us, questa operazione per Ps5, totalmente superflua, non può che essere vista come una trovata per monetizzare e per spingere a breve la serie televisiva di Hbo. L’esoso prezzo non è giustificabile per la fascia di consumatori che già vivono tra i brand PlayStation da anni, e conoscendo ormai a memoria cosa si trovano di fronte, non troveranno reali motivi per aprire il portafogli – l’effetto nostalgia non può essere considerato, vista la relativa giovinezza del gioco. Al contrario, il remake risulta perfetto per coloro che non hanno mai potuto provare una produzione fondamentale, un gioiello che ha riscritto le regole della “cinematografia ludica”, per così dire. Il viaggio di Joel ed Ellie è un’esperienza che chiunque dovrebbe provare, prima o poi, e la Parte 1 rappresenta un prezioso lavoro di preservazione per un capolavoro.

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