Aiuto, un corto razzista anni ‘50 in un distopico gioco! Qualcuno salvi i bambini!

Di Andrea Peroni 07 Marzo 2023 03:49

Vai alla pagina principale di Gaming

Allarme rosso (in tutti i sensi): un corto animato razzista è stato avvistato in un videogioco che racconta di una distopica Russia che non si fa scrupoli a insabbiare complotti, uccidere milioni di persone e macchiarsi di qualche altro reato qua e là. No, forse non avete capito il punto: c’è un corto animato discriminatorio. C’è solo una cosa da fare, ossia indignarsi, smuovere l’internet. Qualcuno salvi i bambini da questa oscenità!

Scherzi a parte, lo scandalo nel quale è finito l’ultimo (che poi è anche il primo) videogioco del team russo di Mundfish, Atomic Heart, è davvero curioso, e invita a riflettere su quella che ormai è una società malata di un politicamente corretto sfruttato male in entrambi i sensi, ipocrisia a gogò e una comprensione del testo (o delle situazioni, in questo caso) che si limita a osservare solo la superficie, perché come spesso accade andare più a fondo e scalfire le apparenze richiede attenzione e dedizione. Condizioni che non tutti, purtroppo, sono disposti ad accettare.

Un po’ di contesto. Atomic Heart è un gioco action in prima persona che fa parte del macro-genere degli immersive sim, tra le cui fila si trovano alcuni giganti della storia videoludica come System Shock, Bioshock, Prey e Deus Ex. Ambientato in una timeline alternativa del 1955, nella quale la Russia ha vinto la seconda guerra mondiale con metodi non proprio piacevoli e ha vissuto una repentina accelerazione tecnologica, in Atomic Heart la cultura e la società vengono rappresentate proprio come ci si aspetterebbe da una produzione che narra di una società distopica, nella quale, sperando di elevare all’ennesima potenza i pregi, si finisce col creare un mondo distorto e peggiore di quello che realmente esiste.

Cinema, letteratura, videogiochi e arte in generale hanno da sempre attinto al concetto di distopia per raccontare, con metafore oppure no, tutti gli errori di società cieche, incapaci di riconoscere i propri limiti finendo con l’esaltazione del lato peggiore. Orwell ne adottò dinamiche e temi per “La fattoria degli animali” e “1984”, il cinema l’ha raccontata con “Blade Runner”, “Elysium”, “Matrix”, “Minority Report” e innumerevoli altre opere, e lo stesso hanno fatto i videogiochi, basti pensare al già citato Bioshock che con Rapture City e Columbia mostra con sapienza e furbizia tutto il marcio di queste società sulla carta perfette ma anche perfettamente sbagliate.

E quindi, cosa c’entra tutto questo preambolo con le vicende di Atomic Heart? Il videogioco di Mundfish, ambientato appunto in una distopica Russia del secondo dopoguerra che fa ampio uso di robot e tecnologie anacronistiche, è stato investito dall’ennesima ondata di polemiche a cui ormai anche i videogiocatori si stanno abituando. Se Hogwarts Legacy è stato messo in croce per la sua appartenenza al mondo creato dall’odiatissima J.K. Rowling, l’immersive sim è finito sotto accusa per la rappresentazione discriminatoria delle persone di colore, in riferimento a stereotipi che danneggiano la percezione sociale. O almeno, questo è quello che sostengono gli accusatori.

All’interno di Atomic Heart è stato incluso, forse per errore, forse no, un corto animato assolutamente reale e non creato appositamente per il gioco, e facente parte della serie russa “Rabbit and the Wolf” – in originale “Nu Pogodi!”, una sorta di controparte sovietica di “Tom & Jerry”. In questo corto, che nel gioco viene trasmesso sulle tv che il giocatore incontra nel corso della sua avventura, viene mostrata la palese caricatura di un uomo di colore, rappresentato come un indigeno con miseri indumenti, se indumenti si possono definire, e atteggiamenti tribali. Risultato: panico.

 


Il frame incriminato di Atomic Heart, proveniente da una diretta dello streamer Ravs

La software house forse neanche pensava che l’inclusione di questo corto avrebbe provocato tante discussioni, e invece eccole qui, puntuali come sempre, per cercare il famigerato pelo nell’uovo. Il risultato è che, di fronte all’indignazione di milioni (?) di persone, Mundfish si è ritrovata a doversi scusare per l’inserimento del corso ritenuto razzista, ammettendo di non aver prestato attenzione a questo dettaglio e dichiarandosi pronta a sostituire al più presto la clip incriminata. Tutto risolto, insomma. Ma anche no. Perché l’ennesima, sterile polemica nella quale è finito Atomic Heart è solo l’ultima di una serie di ennesime, sterili polemiche che rischiano di affossare l’umana concezione in favore di una visione utopistica che oggi non esiste e probabilmente non esisterà mai, nella quale, secondo molti, l’unico modo per evitare un problema sia non farne parola.

Siamo sicuri che la censura di un cartone animato razzista risalente agli anni ‘50, e gettato in una società distopica degli anni ‘50, rappresenti la salvezza dell’umanità? Il dibattito è aperto, e va a braccetto con le ultime vicende che hanno coinvolto, tra i tanti, Ian “007” Fleming, Roald “La fabbrica di cioccolato” Dahl e Keno Don Hugo Rosa. I romanzi dei primi due autori, nei prossimi mesi, saranno ristampati rimuovendo alcuni termini ritenuti offensivi e discriminatori, tra cui “brutto” e “grasso”. Il fumettista americano tra i maggiori esponenti del fumetto disneyano, è stato invece censurato dalla stessa Casa di Topolino che ha deciso di non pubblicare in futuro alcuni capitoli della Saga di Paperon dè Paperoni, anche in questo caso per contenuti legati al razzismo. O al presunto razzismo, ecco.

C’è qualcosa di profondamente sbagliato in questa continua e incessante caccia alle streghe, come se le persone fossero alla ricerca di un appiglio, un modo per incolpare qualcuno o qualcosa dei mali del mondo senza tenere conto del contesto, della storia e di ciò che è stata l’evoluzione della società e del pensiero. Per assurdo, l’inserimento del corto in questione, in Atomic Heart, ha senso, e anzi è perfetto per offrire nuovi spunti di riflessione: quanti e quali passi in avanti ha fatto l’uomo in un solo secolo? Quanto è stata fondamentale l’esperienza appresa dalla storia, per capire i propri errori e andare avanti verso una società più sana? Il futuro non passa dalla cancellazione del passato. E nel passato dell’umanità, a ben vedere, ci sono stati casi più gravi di un corto animato che rappresenta in maniera discriminatoria qualcuno. Ed è anche grazie a quello, se oggi siamo così sensibili. Forse anche troppo sensibili.

 

© Copyright 2024 Editoriale Libertà