Così Piacenza scoprì in anticipo di un secolo i “nuovi” numeri arabi

Nella scuola capitolare di Sant’Antonino erano insegnati già nel XII sec. La studiosa Mariairene Guagnini li ha scovati in un manuale per i maestri

Giacomo Nicelli
Giacomo Nicelli
|3 mesi fa
Così Piacenza scoprì in anticipo di un secolo i “nuovi” numeri arabi
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Mentre l’Europa contava ancora abitualmente in numeri romani, nella scuola del capitolo di Sant’Antonino c’erano già maestri che insegnavano le cifre da 1 a 9 come le conosciamo oggi. Tutto questo succede nella prima metà del XII secolo, quasi cent’anni prima del “Liber abaci” del matematico pisano Leonardo Fibonacci, la cui pubblicazione nel 1202 è di solito considerata il punto di svolta per la diffusione dei numeri indo-arabi nell’Occidente cristiano. A dimostrarci come in questa scuola, in fatto di numeri, si giocasse d’anticipo è un piccolo manoscritto composto da 14 fogli di pergamena (19,5 centimetri per 14,5) conservato nell’Archivio capitolare della basilica. La sua portata innovativa per lo sviluppo del pensiero scientifico è stata messa in luce dalla studiosa piacentina Mariairene Guagnini.
Bernelinus e il “Liber abaci”
Come ha spiegato in un suo studio pubblicato nel Bollettino Storico Piacentino (anno 115, 2020) e poi su L’Urtiga (n. 30, 2022), si tratta dell’unica copia manoscritta che risulti conservata in Italia - tra le 17 risalenti ai secoli XI e XII finora individuate nel mondo - che tramanda un manuale di aritmetica composto attorno all’anno Mille dal monaco Bernelinus iunior. Intitolato anch’esso “Liber abaci”, aveva uno scopo preciso: trasmettere gli insegnamenti di Gerberto d’Aurillac, straordinaria figura di scienziato divenuto poi abate di Bobbio intorno al 982 e infine papa con il nome di Silvestro II (999-1003).
Tutto inizia nel 967 quando Gerberto, giovane monaco nato in Aquitania, soggiorna in Catalogna per approfondire i suoi studi scientifici e vi rimane tre anni. Lì, ai confini con i territori arabi, apprende il sistema decimale indo-arabico. Al suo ritorno, realizza un abaco assai innovativo: una tavola con 30 colonne in cui ogni posizione (unità, decine, centinaia) determina il valore del numero, un notevole passo avanti verso il nostro sistema attuale. Su di esso il monaco, anziché i sassolini, colloca gettoni contraddistinti proprio dalle cifre indo-arabe appena apprese, da 1 a 9, e lo introduce nelle scuole monastiche francesi. Questo metodo permette calcoli più rapidi e ordinati rispetto all’impiego della numerazione romana.
Distolto però dall’insegnamento in conseguenza degli alti incarichi ecclesiastici, Gerberto – raro caso di “papa matematico”, proprio come oggi Leone XIV – non ha il tempo di codificare questo suo metodo in un manuale. A mettere tutto per iscritto, perché non se ne perda la memoria, viene incaricato il suo allievo Bernelinus, monaco forse di origine parigina, che tra il 999 e il 1002 compone il “Liber abaci” in un monastero della Lorena. Lo fa con un approccio didattico chiaro, esempi pratici e ragionamenti logici.
Il 2 capovolto, il 6 squadrato
Grazie a questo manuale i numeri “nuovi” iniziano ad essere conosciuti in Occidente, o quantomeno nei centri di studio più avanzati, precursori delle future università, tra cui troviamo scuole annesse a monasteri, cattedrali e altre grandi chiese cittadine, come appunto quella di Sant’Antonino. Nel codice conservato nell’Archivio capitolare, le cifre indo-arabe appaiono in una forma arcaica ma quasi sempre riconoscibile: il 2 è capovolto, il 6 squadrato per evitare confusioni con il 9 se il gettone ruota sull’abaco. Ma ogni copia antica del manoscritto presenta alcune diversità nel modo di scriverli: queste varianti testimoniano la fase di sperimentazione grafica dei numeri, che solo nei secoli successivi si stabilizzerà.
Il manuale di Bernelinus era stato individuato negli anni Novanta da Anna Riva, attuale responsabile dell’Archivio capitolare di Sant’Antonino (e direttore dell’Archivio di Stato), durante la redazione del catalogo dei codici e frammenti conservati nella biblioteca capitolare della basilica. Un imponente e minuzioso lavoro iniziato con la sua tesi di laurea (relatore Luciano Gargan dell’Università Statale di Milano) e proseguito con la pubblicazione, nel 1997, del volume “La biblioteca capitolare di S. Antonino di Piacenza” (Tipleco) per la collana Biblioteca Storica Piacentina. Accanto al manuale di Bernelinus è così riemersa una straordinaria raccolta di inventari e testi, tra cui quadernetti scolastici che contengono scritti introduttivi a varie discipline: glosse a grammatici antichi, autori classici per lo studio di grammatica e retorica, Boezio e Aristotele per lo studio della filosofia, libri della Bibbia per i fondamenti dell’esegesi, taccuini di note e “quaestiones” teologiche e tanto altro. Nel complesso, ben 106 pezzi conservati in due cassette, risalenti in gran parte ai secoli XII e XIII e che facevano parte dei materiali rielaborati e utilizzati ogni giorno per l’insegnamento dai “magistri” della scuola.
Studi all’avanguardia
Si tratta di «un unicum nel panorama mondiale», come ha evidenziato nel 2018 (“I misteri della cattedrale”, Skira, p. 43) un’esperta di codici come Mirella Ferrari, già docente di letteratura latina medievale all’Università Cattolica.
«Grazie a questa raccolta, oggi gli studiosi hanno a disposizione ampio materiale per indagare gli insegnamenti impartiti nelle scuole del tempo», osserva a sua volta Guagnini, già insegnante di matematica e fisica in istituti superiori, tra cui il Colombini e il Respighi, e da tempo impegnata ad approfondire temi legati alla didattica della matematica e alla storia del pensiero scientifico: collabora tra l’altro al sito www.progettofibonacci. it. L’alto livello degli studi affrontati nella scuola di Sant’Antonino, aggiunge, è confermato proprio dalla presenza del testo di Bernelinus. L’introduzione dei numeri indo-arabi, lì riportati per la prima volta in un manuale scolastico, fu una rivoluzione concettuale, semplificando drasticamente i calcoli aritmetici, soprattutto moltiplicazioni e divisioni. Ed è così grazie anche a questo quadernetto custodito nella cassetta 48 (frammento n. 22) che quei nove simboli, partiti dall’India e poi diffusi dagli arabi, hanno potuto iniziare il loro cammino in Europa, prima ancora che Fibonacci li perfezionasse e li diffondesse fino a cambiare per sempre il modo in cui il mondo fa i conti.