"Lo specchio": conversazione con Armodio, visione, stile, radici
Matteo Prati
|2 settimane fa

Tra immagini sospese e un tempo che sfugge tra le dita, si apre uno spazio dove l’arte diventa rifugio e rivelazione insieme. È lì che Vilmore Schenardi, in arte Armodio, classe 1938, ci conduce, confidandosi con delicatezza e acutezza. L’artista si è raccontato a “Lo Specchio di Piacenza”, la trasmissione di Telelibertà condotta da Nicoletta Bracchi. Armodio ha condiviso la propria visione del mondo e dell’arte, un percorso che attraversa simbolismo e metafisica, tra ironia timida e sguardo sornione. «Mi sento artista, non pittore, la mia è una ricerca costante, un ponte tra il mio mondo interiore e chi osserva le mie opere. I miei oggetti sono comuni, ma attribuisco loro il ruolo di personaggi. Le caffettiere che incrociano i beccucci, le nature morte che dialogano… voglio obbligare la gente a riflettere. Chi guarda deve concentrarsi davvero sulla mia opera». Il rapporto con il pubblico è un aspetto che Armodio osserva con una punta di divertita tenerezza: «Quando vedo che qualcuno avvicina il dito al quadro, come per toccarlo, allora capisco che è un intenditore. Significa che ama ciò che vede al punto da cercare un contatto fisico».
Maestri, viaggi e radici: la vita in arte
Il dialogo con Bracchi ha toccato i temi centrali della sua carriera, dal rapporto con maestri come Osvaldo Bot, Soressi e Ricchetti, fino alle esperienze pionieristiche con la Stamperia Elefante Rosso e le litografie condivise con amici e colleghi come Bertè e Foppiani. «Gustavo Foppiani mi ha dato il nome Armodio, diceva che il mio vero nome era troppo complicato – ha ricordato sorridendo – con lui ho imparato che un giorno senza lavoro era un giorno perso. La disciplina e l’impegno quotidiano sono fondamentali per chi vuole fare arte». La carriera di Armodio si snoda tra mostre nazionali e internazionali: dalla prestigiosa Galleria dell’Obelisco a Roma, fino a esposizioni a Bruxelles, Parigi e Madrid. «Arrivare alla Galleria dell’Obelisco fu un successo, un approdo splendido, un ricordo che mi fa ancora battere il cuore. Il titolare Gasparo Dal Corso fu il primo ad esporre Picasso in Italia». Il legame con Piacenza rimane centrale nella sua vita. «Il mio “mal di Piacenza” è una nostalgia dolce, quieta, che non fa male ma resta lì, come un richiamo. Di Piacenza amo le case, i palazzi, le facciate lisce, e soprattutto quei portoni che, quando si spalancano, rivelano dimensioni parallele: cortili sorprendenti, interni spettacolari, architetture che non ti aspetti. È una bellezza discreta, che si svela solo a chi ha voglia di cercarla. Piacenza mi ha sempre voluto bene. È molto bella, piena di angoli che porto con me: piazza Duomo, le vie del Tribunale, via San Vincenzo».
Il tempo dell’opera e il tempo della vita
«Come nasce un'opera? Ci vuole una vita. Ogni immagine è un deposito di esperienze e meditazioni. In studio non c'è silenzio, dipingo ascoltando Mahler, Beethoven, Ravel». Infine, il ricordo di un’abitudine che racconta un’intera epoca: «Con Gustavo Foppiani e i nostri amici andavamo a vedere la nascita del quotidiano Libertà, dopo aver chiuso lo studio. Era un modo per sentire la vita della città e il battito della sua comunità». E poi gli incontri, alcuni speciali: «Con Donatella Ronconi ed Enrica Prati c’è sempre stata un’amicizia vera, fatta di stima profonda e di un filo diretto che non si è mai spezzato. Un legame di energie che si intrecciavano con naturalezza, capace di far nascere e crescere idee, visioni, progetti». Ogni quadro, nel mondo di Armodio, diventa una finestra su quell'enigma spesso impenetrabile che è la vita quotidiana. Tutte le puntate de “Lo specchio” sono disponibili su on demand del sito Liberta.it.

