«Sentenza aberrante sul riconoscimento di due madri»

L'intervento di Livio Podrecca, presidente dei Giuristi cattolici di Piacenza, sulla recente decisione della Corte Costituzionale

Redazione Online
May 24, 2025|31 giorni fa
fotoGiuristi cattolici livio podrecca (ferrari)
fotoGiuristi cattolici livio podrecca (ferrari)
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«Siamo quindi in presenza di una sentenza aberrante, segno di una società che ha perso la bussola del buon senso, prima che della correttezza giuridica». Ad affermarlo è Livio Podrecca, presidente dei Giuristi cattolici di Piacenza, che espone lei sue ragioni contrarie alla recente sentenza della Corte Costituzionale sul riconoscimento di due madri per bambini nati da procreazione medicalmente assistita (Pma). Ora i bambini nati grazie alla Pma realizzata all'estero, avranno due madri e potranno essere iscritti all'anagrafe come figli di entrambe.
Di seguito l'intervento integrale dell'avvocato Podrecca. 
Semplificando al massimo, la legge 40 dell’anno 2004 sulla c.d. PMA, procreazione medicalmente assistita, si proponeva di risolvere i problemi di comprovata infertilità di coppie eterosessuali, sposate o conviventi. All’art. 8, la legge diceva (e dice) che i figli nati da PMA hanno lo stato di figli nati nel matrimonio o comunque riconosciuti dalla coppia che ha fatto ricorso alla PMA.
Sulla questione di sollevata dal Tribunale di Lucca, con sentenza n. 68 del 22 maggio scorso, la Corte Costituzionale ha dichiarato la incostituzionalità di questa norma nella parte in cui non ammette il riconoscimento di figlio anche della madre c.d. intenzionale (cioè della partner non gestante di una coppia di donne omosessuali, che ha però condiviso il progetto ‘genitoriale’) di una fecondazione eterologa (vietata in Italia) praticata dalle donne all’estero ed il cui figlio è nato in Italia. In questo modo la Corte legittima l’aggiramento di ben due divieti (che curiosamente fa peraltro salvi) previsti dalla legge italiana; quello della fecondazione assistita eterologa, dove il seme maschile è fornito da donatore esterno alla coppia; e quello relativo alla limitazione del ricorso alla PMA alle coppie eterosessuali. Il tutto nel supposto interesse del minore alla bigenitorialità. Cioè ad avere due genitori.
Quest’ultimo concetto, peraltro, ha senso con riferimento a quanto accade in natura, dove i figli vengono dalla unione fisica di un uomo con una donna, il padre e la madre, per l’appunto, il primo dei quali, vero genitore biologico del figlio nato da PMA eterologa, è totalmente ignorato nella sentenza in esame. Ma in un contesto in cui la Corte equipara alla filiazione biologica quella intenzionale, dando valore alla assunzione di responsabilità della donna non gestante, definita genitore intenzionale, per l’appunto, per avere condiviso il progetto ‘genitoriale’, che senso ha la bigenitorialità? Perché, in altre parole, se vale la assunzione di responsabilità, non valorizzare la tri, la quadri o, in genere, la multigenitorialità?
Sotto i profili garantistici valorizzati dai giudici della Consulta, l’interesse del minore all’accudimento ed alla educazione ne risulterebbe, infatti, ulteriormente rafforzato. In realtà questo tipo di realtà parafamiliari cerca, senza successo, di strutturarsi sul modello della famiglia che la Corte definisce ‘tradizionale’, cioè di quella generativa, formata da un uomo e da una donna, imitandola.
Se la famiglia, per il Costituente, era la società naturale fondata sul matrimonio, occorre quindi chiedersi se questo nuovo tipo di famiglia, omosessuale, contraddistinta da una generatività necessariamente solo intenzionale, che anche la Consulta sta concorrendo a strutturare di fatto come famiglia assegnandole le medesime funzioni di cui all’art. 30 Cost. sulla base della semplice intenzione degli aspiranti genitori, corrisponda al modello costituzionale al quale si riferiscono gli artt. 29 e 30 Cost., o se invece non costituisca l’esito di una rivisitazione del concetto di famiglia e di genitorialità che ispirò i Padri Fondatori.
Perché delle due l’una: o la società naturale fondata sul matrimonio esiste prima di ogni legge, Costituzione compresa, e può essere da questa solo riconosciuta, senza modifiche, come espressamente fa la Carta Costituzionale. Oppure siamo in presenza di una realtà che la stessa Consulta, salvando l’apparenza della forma, va sostanzialmente ridefinendo surrettiziamente, in senso progressista. In questo modo, però, i giudici della Consulta non solo non sono fedeli interpreti della Costituzione che dovrebbero difendere, ma anzi ne sono nemici, con decisioni che sono, in sé, contrarie al suo dettato. Cioè, paradossalmente, incostituzionali.
Temo quindi che siamo quindi in presenza di una sentenza aberrante, segno di una società che ha perso la bussola del buon senso, prima che della correttezza giuridica. Si può certamente ritenere, come faranno molti, che questa sentenza sia un atto di civiltà, un progresso e una vittoria. Ma alla Verità, alla fine, nessuno può sfuggire.