Kamlalaf, l’Uganda di Vincenzo Salluzzo
12 Agosto 2014 12:14
Nelle righe che seguono, il racconto del viaggio in Uganda con Africa Mission – Cooperazione e Sviluppo vissuto da Vincenzo Salluzzo, tra i partecipanti all’edizione 2014 del progetto Kamlalaf che, accompagnati da Paolo Strona, hanno visitato il Paese tra la capitale Kampala e l’arida regione del Karamoja.
Ripenso a poche settimane fa, pieno di aspettative e inconsapevole di tutto. Avevo immaginato che questa realtà mi avrebbe sconvolto e cambiato, ma non immaginavo così tanto. Pensavo di essere pronto all’incontro, allo scambio, alla condivisione, ma quando si tratta dell’Africa non lo si è mai abbastanza, nemmeno dopo anni. In realtà non ho ancora avuto tempo di metabolizzare cosa ho visto, sentito e toccato. È accaduto così in fretta, di corsa, sguardo dopo sguardo, sorriso dopo sorriso, incredulità, stupore ed amarezza. Voglia di migliorare, aiutare ed essere presente, con la consapevolezza che tutto scorrerà con il suo tempo regolare, una volta tornato in Italia. L’Italia, che Paese lontano. Non conosco ancora la terra in cui vivo e già ne voglio scoprire un’altra? No, questa savana infinita richiede pazienza e a tempo debito sarà capace di rispondere a molte domande semplicissime.
Ricordo che appena ho toccato il suolo africano, stremato dalle quattordici ore di volo, ciò che desideravo era solamente dormire, ma i miei occhi erano attratti ed attenti a scrutare dal finestrino della jeep quello che sarebbe stato il mio scenario di vita per tre settimane. Sono passati giorni in cui sono stato lontano da tutto e tutti, sto scoprendo una terra sconosciuta, sto conoscendo me stesso. Un ragazzo che sempre si mette in gioco ed ora ha deciso di farlo senza tirarsi indietro, anche se con passi troppo grandi forse per lui.
L’aiuto ai Missionaries of the Poor, i giochi alla Great Valley School, i pomeriggi spesi cercando invano di capire come renderti utile o semplicemente come sorridere nel modo più sincero possibile. Si, ciò che in queste settimane ho deciso di fare è sorridere sempre, mostrarmi allegro, perché quei bambini hanno bisogno di affetto e quei ragazzi di sicurezze. Mi bastano pochi secondi per fissare in mente occhi colmi di insoddisfazione, gratitudine, rabbia e penso a quanto in fondo siamo uguali ma diversi allo stesso tempo. Per la prima volta mi sono ritrovato seduto all’alba in un kral accanto ad una popolazione coperta solo da una coperta che sa di povertà e tradizione. Mai avrei immaginato di camminare per le arterie di una città, Kampala, perdendomi anche solo con lo sguardo, mai ero riuscito a vedere così chiare le costellazioni ed esprimere undici desideri per undici stelle cadenti nell’arco di un’ora. Il mio desiderio egoistico? Essere felice! Ma da giorni a questa parte non riesco ad esserlo a pieno a causa di quei bimbi che corrono senza meta, con magliette lacerate, su cigli di strade impercorribili, rosse, secche e fangose allo stesso tempo.
Come riusciamo? Come riusciamo a preoccuparci di apparire, quando qualcuno in un altro continente vive in capanne di fango e paglia o addirittura non vive affatto per il riso ed il posho non abbastanza sufficienti a sfamare una bocca. La realtà è questa, ne porto la triste testimonianza, le gocce di sudore e le cicatrici sul cuore. È tutto vero, sei muzungu, sei ricco, sei dannatamente potente, navighi in fiumi di soldi, quando adolescenti alla tua semplice richiesta di restare in fila per ricevere dei biscotti, ti assalgono perchè vivono di quello, di acqua portata con taniche dal peso improponibile sulla testa. Ebbene si, non dimentico nulla e riporto tutto. Calzano scarpe che rimediano da pneumatici, vivono ad un metro di distanza l’uno dall’altro, litigano ma sanno essere solidali, forti e calorosi. Ad ogni mercato, villaggio o scuola sembra di entrare direttamente in casa loro, cantano, ballano per te, ti sorridono, ti studiano, per loro sei amico con una carezza, fratello con un abbraccio e loro salvatore per una penna ed un quaderno donati. Sì, la cultura si può sostenere ed il progresso favorire, ma per quanto? Per tutta una vita, basta costanza e determinazione.
L’Africa ti accoglie tra la sua gente, le sue tradizioni, la sua musica, il suo ritmo, i suoi colori, i suoi tramonti. Ti rapisce, uccide, provi dolore, gridi, piangi ma poi ti rialzi, rinasci e vivi. Ti senti finalmente vivo e consapevole come mai in diciott’anni. Cos’ha significato per me la permanenza tra le mura di Africa Mission? È vivere sentendoti a casa, anche lontano da essa. È combattere, lottare per te e chi crede che alla fine anno dopo anno qualcosa cambierà, in fondo anche solo un sorriso riempie l’anima, testato! Dura un secondo? Si è vero, tecnicamente è così ma quello stesso secondo rimane incastrato dentro quel cuore che mi ha portato a conoscere il mondo. Personalmente credo nelle nuove generazioni, ripongo le mie speranze nella formazione e informazione. Dal fresco progetto del Centro giovanile del distretto di Moroto “Youth is the engine of the world” (“La gioventù è il motore del mondo”) traggo ispirazione lasciando un messaggio: plasmiamolo, questo mondo, in modo tale che possa ospitarci tutti, insieme nonostante il colore della pelle.
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