Gabriele Micalizzi pronto a ripartire per raccontare gli orrori della guerra: “Qualcuno lo deve fare”

27 Marzo 2019 05:00

“Qualcuno deve pur raccontare cosa succede in guerra. Non possiamo fare finta di niente”. Impossibile inchiodare a casa Gabriele Micalizzi, il fotografo milanese di 35 anni, trapiantato a Pianello dove ha fondato il collettivo Cesura, rimasto ferito in Siria nel febbraio scorso durante un reportage. Sul viso e sul corpo porta ancora i segni indelebili delle schegge di una granata che ha ucciso un uomo a un metro da lui. La falange di un dito è andata persa, i timpani pure e la vista è così così, eppure Gabriele non vuole rinunciare alla macchina fotografica con la quale, da anni, immortala scene apocalittiche nei territori dove la vita di un essere umano non vale niente. Questa volta ha rischiato di non tornare più da sua moglie Ester e dalle sue due bambine. Era a Deir Ezzor, nella Siria sud-orientale, assieme a un collega della Cnn, quando un razzo è piombato addosso a un militare, che si trovava a pochi passi da lui, uccidendolo. Gabriele è rimasto seriamente ferito. Le sue condizioni sono migliorate ma, ancora oggi, deve sottoporsi a continui interventi e controlli. Per un fotografo perdere parte della vista e un dito può rappresentare un importante limite ma non per lui che, come dicono alcuni colleghi, ha la pelle dura del reporter di guerra.

“Chi fa questo mestiere mette in conto il rischio di morire proprio come è successo a tanti altri miei colleghi. Sicuramente quello che è accaduto mi ha segnato nel profondo ma tornerò il prima possibile in prima linea”.

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