Dalla Savana al Karamoja con Africa Mission: diario africano di Betty Paraboschi

23 Novembre 2019 05:46

Prosegue il viaggio di operatori e volontari di Africa Mission partiti sabato 16 novembre per l’Uganda in missione benefica. Con loro, anche alcuni studiosi dell’università Cattolica di Piacenza. Lo scopo del viaggio è quello di supervisionare i numerosi progetti che l’associazione sta portando avanti in Karamoja, ma anche celebrare il venticinquesimo anniversario della morte di don Vittorio Pastori, che nel 1972 fondò il movimento Africa Mission nella città di Piacenza.
Della comitiva fa parte anche la giornalista di Libertà Betty Paraboschi che dall’Uganda sta scrivendo un diario di viaggio.

21 novembre 2019 – Mentre percorriamo la lunga strada asfaltata che da Lira ci porta Moroto, Pier Giorgio dice una cosa: “L’Africa è tutta in movimento, tutta in cammino” dice. In questi giorni lo vediamo: c’è chi scappa dalla guerra, chi cerca di scappare dalla fame. Tutti scappano, girano, si disperdono. Ma non si perdono. Ieri notte eravamo noi in cammino per rientrare verso quel centro che identifichiamo come la casa di Africa Mission in Karamoja: abbiamo attraversato la savana, ci siamo fermati, sopra di noi tutta la volta celeste, le stelle come in Italia non si vedono perché c’è troppa luce. Qui nessuna. Ad accoglierci a Moroto i ragazzi che lavorano per Cooperazione e Sviluppo insieme a una zuppa calda, a un piatto di polpette al pomodoro, alla frutta che qui è tutta un’altra roba.
Siamo in cammino anche oggi: per vedere un nuovo pozzo da cui improvvisa si alza una torre d’acqua, per vedere la nuova Cattedrale progettata dal volontario piacentino Roberto(ne) Galdolfi, il mercato cencioso ma pieno di sorrisi, le strade in cui le moto devono far lo slalom fra le capre, i camion passano incuranti delle donne karimojon che spaccano pietre per tirare a casa un piatto di riso. Siamo in cammino mentre i ragazzi del centro giovani di Africa Mission si preparano per lo spettacolo che domani proporranno per ricordare don Vittorio e mentre improvvisamente scoppia a piovere furiosamente. Siamo tutti in cammino in questa zona del mondo percorsa da un’inquieta, violenta scarica di elettricità. E la sentiamo anche noi.

 

22 novembre 2019 – In Uganda si continua a cantare: si canta mentre si lavora, mentre si portano in giro le bestie, mentre si è in classe. Si canta mentre si cammina in strada. Da qualche parte ho letto che nelle cantilene che gli africani intonano la sera ricorre un ritornello: “La mia patria? La mia patria è dove piove”. Oggi in quella fetta di terra rossa chiamata Karamoja in cui ci troviamo è continuato a piovere e a rasserenarsi: acqua e sole si sono alternati mentre, insieme ai professori dell’Università Cattolica Vincenzo Tabaglio e Giuseppe Bertoni e al ricercatore Andrea Mainardi, esploravamo gli “orti di comunità”. Non so se sia questo l’esatto nome del progetto che Africa Mission Cooperazione e Sviluppo ha avviato in 85 villaggi: l’idea è di formare dei “model farmers”, degli agricoltori/allevatori modelli che insegnino ai villaggi a coltivare la terra. O ad allevare animali. Alcuni come Paul sono veramente bravi: è lui ad avere creato un vero e proprio orto delle delizie in un posto che si chiama Nakalimon e che in italiano suona più o meno come “il luogo dove c’è fresco”. In altri villaggi i karimojon invece ci hanno accolto con canti, danze, fagiolini, strette di mano e melanzane. Alcuni di loro, già nel primo pomeriggio, si sono accalcati davanti al cancello della nostra sede di Moroto, dove oggi in un capannone del Centro sono iniziate le celebrazioni per ricordare il 25esimo anniversario della morte di Don Vittorio: anche qui ci sono stati canti, qualche preghiera, molte danze tradizionali e non solo. Fuori la strada è diventata un impasto di fango rosso; dentro invece ho capito che la patria, la casa così come la si intende qui, è molto diversa dalla nostra: ad esempio non ha pareti, tetto e porte e finestre. Non ha siepi o muri, nessuna barriera o limitazione insomma. La patria dei karimojon sono le migliaia di chilometri di savana. E a me sembra quasi invidiabile.

 

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