“Paura e morte, ma anche speranza”. Gli ultimi 12 mesi raccontati a Nel Mirino

19 Febbraio 2021 23:00

Un anno di pandemia. Un anno fatto di paura, di morte, ma anche di speranza. Se ne è parlato nell’ultima puntata di “Nel Mirino”: la trasmissione di Telelibertà condotta dal direttore Nicoletta Bracchi è stata dedicata proprio a questi dodici mesi, raccontati anche dal libro “Quella sottile linea rossa” realizzato dall’Ausl di Piacenza e distribuito da oggi, sabato, proprio con Libertà. Una parte del ricavato sarà devoluto alla Caritas e agli hospice del territorio.

Ad aprire la trasmissione è stato il presidente della Regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini: “Non dimenticherò mai quella telefonata in cui mi veniva confermato quel primo caso di Covid di Codogno – ricorda –vedevamo crescere i contagi e i decessi, i reparti sempre più pieni”.

La capacità di fare sistema è finita sotto i riflettori nell’intervento di Luca Baldino, direttore generale dell’Ausl cittadino, che ha spiegato: “Non ci siamo mai sentiti abbandonati dalle istituzioni. Certo anche nel nostro interno è venuta fuori un’umanità incredibile e per questo abbiamo fatto un libro”.

A curarlo sono stati il giornalista Emiliano Raffo insieme alla biologa Federica Coppa e la responsabile dell’ufficio stampa dell’azienda Silvia Barbieri: “Silvia è stata sempre in trincea e Federica è stata essenziale per tradurre la parte medica – spiega Raffo – io  sono andato a cercare l’aspetto umano delle vicende di questi professionisti perché in una situazione del genere l’uomo e la donna che ci sono dietro il camice emergono”.

A fargli eco è stata anche Barbieri: “Emiliano è riuscito a far parlare i nostri professionisti, a far saltar fuori le emozioni” spiega. A entrare nel vivo del ricordo di quei giorni è stata un’infermiera del 118, Alessandra Agosti: “Mi ricordo la sera in cui sono andata a prendere il primo paziente con sospetto coronavirus – spiega – non ci immaginavamo di dovere affrontare una situazione così. Personalmente ho avuto paura di contagiare le mie bambine”.

“Con la paura abbiamo poi dovuto conviverci – le fa eco il direttore del pronto soccorso dell’ospedale Andrea Magnacavallo – tutto avveniva sotto gli occhi di tutti: i pazienti sapevano quale potesse essere il loro destino”.

“Se dovessi raccontare non riuscirei a farlo – spiega il direttore del dipartimento Terapia intensiva e rianimazione Stefano Nolli – non riuscirei a raccontare il patema e l’ansia”.

Ad Adonella Visconti, responsabile assistenziale del dipartimento Cure primarie, è spettato invece il coordinamento del personale sul numero dell’Ausl che ha accolto le chiamate dei cittadini: “In poche ore abbiamo attivato 5 linee telefoniche” ricorda.

Daria Sacchini, ex primario delle Malattie infettive, è tornata invece in reparto in piena emergenza: “Io sono andata in pensione nel 2017 – ha iniziato a raccontare – poi è scoppiata la pandemia e sono stata contenta di ritrovare la squadra”.

“Noi parliamo al passato, ma non è finita – avverte il primario di Oncoematologia Luigi Cavanna –con il covid le persone non hanno potuto avere nessuno mentre morivano. Si diceva, quando uno veniva ricoverato: “Lo hanno portato via””.

“Ci siamo dovuti reinventare – fa notare il gastroenterologo Francesco Giangregorio – abbiamo dovuto confrontarci con continui cambiamenti”.

“Io ricordo bene quando, di domenica, la dottoressa Andena mi chiese di aprire il lunedì mattina il reparto di emergenza sanitaria 3” ricorda la direttrice della rete di cure palliative Raffaella Bertè.

A chiudere è stata Silvia Chiesa, direttore del dipartimento di salute mentale: “Oggi che la situazione è un po’ diversa, una delle cose fondamentali è riuscire a guardare la situazione come è”.

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