Siccità, Legambiente: “L’unica soluzione è azzerare il deflusso minimo vitale?”

15 Giugno 2022 17:31

L’autorizzazione al prelievo di acqua per uso irriguo dal Trebbia, in deroga al deflusso minimo vitale, ha raccolto plausi dl mondo agricolo, ma non altrettanto da quello ambientalista, preoccupato per gli ecosistemi che con la mancanza di acqua corrono seri rischi.

Legambiente Piacenza è intervenuta con un comunicato, che riportiamo integralmente.

Ai primi di giugno la situazione dei corsi d’acqua della nostra provincia è già preoccupante. Per la provincia di Piacenza non è una novità, perché da anni abbiamo una sproporzione tra l’acqua disponibile per i vari usi e i consumi della stessa. È ovvio che in questo quadro ciò che fa la differenza è data dall’agricoltura. Per noi non è una novità anche se i cambiamenti climatici peggiorano anno dopo anno il problema. La realtà è che a Piacenza si utilizza più acqua di quella che naturalmente è disponibile con problemi diversi sui diversi corsi d’acqua. Quello che però oggi non è più sostenibile è che l’unica soluzione sia quella di chiedere tutti gli anni la deroga al DMV. Già il concetto di deroga dovrebbe chiarire che è un provvedimento eccezionale da adottare una tantum. Se lo si attua tutti gli anni non è più una deroga, ma diventa la regola.
Ma è proprio vero che l’unica soluzione è quella di prelevare tutta l’acqua dei fiumi?
Crediamo di no. Senza riprendere quello che da anni sosteniamo, vogliamo ribadire che il problema può essere risolto non aumentando i prelievi, ma cambiando il sistema di distribuzione che consiste in una rete di canali naturali e comporta che una parte consistente dell’acqua derivata non arriva ai campi.
Abbiamo diversi semplici motivi:
-Perdite nei canali. L’ARPAE, l’Agenzia Regionale per l’Ambiente stima che la perdita media di questa rete sia del 50%. Questo vuol dire che per esempio se dal Trebbia vengono derivati 30 Milioni di mc, ai campi ne arrivano 15 Milioni.
-L’acqua viene distribuita non a chiamata. Vuol dire che l’acqua nei canali scorre, se viene utilizzata dagli agricoltori bene, altrimenti continua a scorrere fino ad arrivare al cosiddetto “Canale della Fame” e poi re immettersi appena prima della foce. Una parte quindi del 50% rimasto non arriva ancora ai campi ma ritorna in Trebbia dopo aver bypassato circa 14,5 km di fiume.
-L’acqua viene distribuita secondo il sistema feudale dei “canali privilegiati” e dei “canali bastardi”. Non è una nostra fantasia, ma la realtà del nostro sistema irriguo. Vuol dire che alcuni utenti, quelli dei “canali privilegiati” hanno sempre l’acqua, mentre quelli dei “canali bastardi” solo quando è disponibile. Tutto questo a prescindere dalle necessità degli agricoltori o delle colture.
Il vero problema è questo.
Cosa fare quindi?
-Il primo intervento non è quello di avere più acqua dai fiumi, ma quello di cambiare il sistema di distribuzione dell’acqua passando a quello a chiamata, garantendo agli agricoltori di averla quando ne hanno bisogno e non di farla scorrere a prescindere;
-Il secondo intervento è diminuire le perdite della rete irrigua. Per evitare i disastri del passato, con la cementificazione della rete primaria, è sufficiente leggere il manuale degli interventi sui canali artificiali redatto dalla Regione Emilia Romagna, dove sono presenti soluzioni di impermeabilizzazione in equilibrio con ambiente e territorio;
-Il terzo intervento è quello di accumulare acqua in primis a livello di singola azienda o interaziendale, in modo di sfruttare l’acqua che scorre nei canali anche quando non si irriga;
-Il quarto intervento è di realizzare accumuli semi naturali nella fascia di alta pianura sfruttando i piccoli bacini idrografici e trasformarli in laghi naturali sull’esempio del Lago della Bosella in Comune di Vigolzone;
-Il quinto intervento è quello di trasformare le cave già autorizzate o da realizzare in prossimità della rete irrigua in bacini di accumulo, da ricaricare nel periodo primaverile, per poi restituirle ai campi;
-Il sesto intervento è quello di utilizzare le acque dei depuratori urbani che possono mettere a disposizione milioni di m³ (3 milioni solo a Piacenza) come con il sistema ReQpro di Reggio Emilia;
-Il settimo intervento è quello di immettere nella rete dei canali gli scarichi delle principali aziende di trasformazione dei prodotti agricoli, anche qui milioni di mc;
-L’ottavo intervento è quello di rilasciare dal bacino del Brugneto, tutta l’acqua che non viene utilizzata a fini idropotabili, restituendo in parte la grande quantità di acqua che viene sottratta al bacino del Trebbia. Tutto questo non per carità, ma per Diritto, come già se ne era discusso in fase di Contratto di Fiume.

Smettiamola quindi di riproporre idee e soluzioni sempre a senso unico, tutte a scapito dei fiumi.

Per ultimo una considerazione. Se a tutti i fiumi affluenti del Po viene sottratto quel minimo deflusso che permette all’acqua di arrivare alla foce, come si può garantire la portata dello stesso, come si fa a garantire agli agricoltori della Romagna l’acqua necessaria, come si fa a impedire la risalita del cuneo salino che rende l’acqua indisponibile sia agli usi irrigui che idropotabili?
Il problema quindi non è salvaguardare i pesci e non gli agricoltori, ma salvaguardare i pesci e gli agricoltori, non solo quelli Piacentini ma anche di tutti gli altri del bacino Padano.

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