L’intervento – Piacenza non merita quei selfie vigliacchi

13 Aprile 2024 11:03

Le foto di Giorgio Lambri e Stefano Pancini che documentano i selfie sui luoghi in cui si sono appena consumate due tragedie

di Gian Luca Rocco*

Piacenza, giovedì 11 aprile 2024, rotonda di via Colombo. Un’auto, causa malore della guidatrice, tampona una bicicletta e finisce dentro la vetrina del negozio Bulla. Mentre i soccorsi si affannano intorno alla ciclista ferita, un uomo impugna il suo cellulare e scatta un bel selfie con sfondo una persona in fin di vita. Il momento è immortalato da un giornalista, il collega de il Piacenza Stefano Pancini, che coglie questo attimo surreale.

Piacenza, 26 maggio 2018, stazione ferroviaria. Una donna finisce sotto un treno, la gamba maciullata. Mentre cinque persone si affannano per salvarle la vita e quel che resta dell’arto, un ragazzo impugna il cellulare e, mimando il segno di vittoria, si immortala con sfondo una persona agonizzante. Il momento è fissato dal nostro Giorgio Lambri e la foto farà il giro del mondo, finendo su tutte le grandi testate, dalla CNN alla BBC. Due immagini che Piacenza non merita.

BRUTTI EPISODI DISUMANIZZANTI

Due brutti episodi che non rendono giustizia ad una città che, per esempio, fa del volontariato e dell’aiuto agli altri una delle sue doti migliori. Due foto che, purtroppo, dimenticano il lavoro delle persone che proprio nelle stesse foto stanno cercando di salvare la vita a due esseri umani. Due scatti che lasciano il tempo per altre considerazioni che travalicano Piacenza. Perché sono passati quasi sei anni tra le due prodezze, ma in realtà non è passato nemmeno un minuto. Nessuna evoluzione: telefono in mano, la cultura del selfie ad ogni costo vince sulla logica, sulla razionalità, ma anche sul buon senso minimo che dovrebbe portare una persona ad immaginare che “non sia il caso” scattare quella foto. A parte la curiosità di sapere poi con chi avranno condiviso quello scatto, quale essere umano ricevendolo potrà dire “figata” “mitico” “eroe” e non un “ma sei idiota?”, resta il fatto che viviamo immersi in una cultura disumanizzante. È chiaro che questi soggetti non provano il minimo disagio: filtrata dall’obiettivo non c’è più la realtà, non c’è una donna che soffre, ma solo una scena ad effetto da condividere con i propri contatti.

“COSA GLI PASSA NEL CERVELLO?”

Difficile dire che cosa passi nel cervello di questi soggetti, troppo facile prenderne le distanze. Magari pensare che insomma, se seguissimo le bricioline di legno, potremmo trovare il mucchietto di segatura che evidentemente sta fuoriuscendo dalle loro teste. Scandalizzarci, convincerci che siano cose che riguardano solo gli altri, gente che si sente protagonista del film di Cronenberg “Crash” in cui un gruppo di feticisti provoca e assiste ad incidenti stradali per aumentare la propria eccitazione sessuale. Forse meglio farsi un esame di coscienza collettivo, per non disperdere nell’indignazione fine a se stessa l’egregio lavoro di due colleghi capaci, loro sì, di immortalare l’attimo giusto. Ricordarsi di quando ci arriva il piatto a ristorante e prima ancora di assaporarne il profumo o il sapore, ha già più foto della prima comunione della figlia. Ricordarsi la prima comunione della figlia, quando invece di tenerle la mano, abbiamo passato il tempo a scattare fotografie che non guarderemo mai. E l’eclissi che non abbiamo visto se non dietro lo schermo del telefono, così come quei tramonti meravigliosi che abbiamo apprezzato solo girati di schiena per “entrare” nella scena. O tutte le altre infinite volte in cui abbiamo filtrato la vita da quello schermo solo dire “c’eravamo”: quella volta al mare oppure quella volta in montagna, alla partita di calcio, di volley, alla mostra, al Louvre dove Monna Lisa, se avesse un centesimo per ogni selfie che la ospita, potrebbe comprare una decina di volte Apple.

“LA TECNOLOGIA CI HA ILLUSO”

La tecnologia, il telefonino ci permette di conservare i ricordi ma ci ha illuso che se quel ricordo non lo conserviamo o meglio, non ne facciamo parte, la realtà che stiamo vivendo, in genere un momento memorabile se merita una foto, non esista. È vero invece il contrario: l’attimo in cui scattiamo, è quello in cui abbiamo perso il presente per affidarlo ad un passato fatto di pixel. Resta, in fondo, un grande quesito: perché due episodi proprio a Piacenza? Speriamo che la risposta sia: abbiamo giornalisti più bravi che da altre parti.

*Gian Luca Rocco – direttore editoriale Gruppo Libertà

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