Premio Pavone 2024 a Valentina Pallua e Giordana Pepè, autrici di due tesi su mafia e criminalità
24 Giugno 2024 12:36
Sono due donne le vincitrici dell’edizione 2024 premio “Francesco Saverio Pavone” indetto dal Consiglio regionale del Veneto in memoria del magistrato scomparso quattro anni fa, che da procuratore capo a Venezia ha portato a termine il processo che ha smantellato la mala del Brenta: ad aggiudicarsi il primo premio (3 mila euro) è Giordana Pepè, di Monza, classe 1994, con la tesi di dottorato in diritto penale intitolata “Associazioni a delinquere e criminalità organizzata “straniera” nell’ordinamento italiano: scenari attuali e prospettive de iure condendo” discussa nel Dipartimento di giustizia dell’Università Bicocca di Milano. Il secondo premio (2 mila euro) è andato a Valentina Pallua, classe 1987, originaria di Falcade e assistente sociale a Gaiarine, autrice della tesi di laurea “Veneto tra mafia e vittimizzazione – “No vò a combater” – Riflessioni sulla Regione che non voleva riconoscersi” discussa nell’Università di Bologna, a conclusione del corso di laurea in Scienze criminologiche per l’investigazione e la sicurezza, relatrice la professoressa Sandra Sicurella. Entrambe hanno conseguito il massimo punteggio, rispettivamente nel dottorato e nella sessione di laurea, e ora potranno vedere pubblicata la loro tesi sulla rivista “Il Diritto della Regione” o nel sito del Consiglio regionale del Veneto.
A consegnare il premio sono stati la vicepresidente del Consiglio regionale Francesca Zottis (Pd) e il segretario generale del Consiglio, Roberto Valente, che ha guidato i lavori della commissione esaminatrice. “La seconda edizione del premio ha visto aumentare il numero e la qualità dei lavori presentati, segno della crescente sensibilità del mondo accademico e dei giovani verso le tematiche della legalità, della prevenzione della corruzione, delle mafie e della criminalità organizzata”, ha evidenziato Valente. La ricerca di dottorato della dottoressa Pepè – secondo le motivazioni della giuria, lette da Alessandro Rota, dirigente del servizio Attività istituzionali del Consiglio veneto – offre una ricca analisi delle fonti normative e della bibliografia esistente e propone un’interessante chiave di lettura dei fenomeni mafiosi, applicabile anche come strumento di lavoro per una migliore comprensione e classificazione dei fenomeni di criminalità organizzata”. Pubblici apprezzamenti anche per la ricerca qualitativa di Valentina Pallua: “La tesi della dottoressa Pallua – recitano le motivazioni lette da Fausta Bressani, dirigente della Direzione Beni e Attività culturali della Regione del Veneto – si è distinta per l’efficace rappresentazione del radicamento della criminalità organizzata in Veneto e per l’indagine sulla percezione del fenomeno, mettendo in evidenza i diversi atteggiamenti assunti dalla società, quali l’omertà, l’accettazione del fenomeno o il riconoscimento del ruolo di vittima. In questo senso la ricerca svolta costituisce una visione interessante ed insolita”.
La valenza del premio, istituito per promuovere cultura e consapevolezza sulla consistenza del fenomeno mafioso in Veneto, è stata messa in luce dalla vicepresidente Zottis: “Come istituzione abbiamo il dovere di portare avanti la consapevolezza scientifica del fenomeno e far crescere gli anticorpi nei territori in cui viviamo. Oggi più che mai abbiamo bisogno di tener viva la memoria di persone come il magistrato Pavone che, con altissima integrità morale e coerenza, ha difeso e promosso il valore della legalità”.
Toccante la testimonianza di Amelia Vargiu, moglie del magistrato, che ha ripercorso l’impegno del marito: “Mio marito con tenacia, intelligenza e d equilibrio ha lottato contro la malavita organizzata, la mala del Brenta e la mafia in Veneto, perseguendo i propri ideali di giustizia, verità e legalità. Un percorso non facile, quello di mio marito: quando iniziò parlare di mafia nel Veneto, fu deriso, anche da molti colleghi. Dicevano: nel Veneto, terra di gente operosa ed onesta, non poteva allignare la mafia. Una convinzione purtroppo smentita dai fatti e dalle indagini del giudice Pavone. Lui non ha mai voluto desistere e rinunciare ai suoi ideali, nonostante i rischi per sé e per la famiglia. Ha voluto ‘indossare la giustizia’, come ci dice il Siracide, perché la fedeltà alla verità e alla giustizia era per lui ragione di vita. Non venne mai meno, nonostante le minacce che giustificarono l’assegnazione della scorta a lui e alla sua famiglia per ben 17 anni. Oggi voglio dire che non porto rancore per chi ci ha isolato e ci ha fatto del male, voglio solo pensare che sia stata una reazione dettata dalla paura”.
Anche Pierluigi Granata, componente dell’Osservatorio regionale per il contrasto alla criminalità organizzata e mafiosa istituito nel 2012, ha messo l’accento sull’importanza del ruolo che studiosi, esterni alla magistratura, e ricercatori di discipline diverse ricoprono per conoscere e capire i fenomeni mafiosi. “Purtroppo il fenomeno mafioso è ben radicato in Veneto, come riconoscono le sentenze della magistratura, ma continua ad essere sottovalutato dall’opinione pubblica, dalla politica e dalle istituzioni. Da qui l’importanza di sviluppare un lavoro scientifico di conoscenza e di analisi. L’azione repressiva non basta, solo un grande lavoro di prevenzione e di educazione alla legalità potrà sradicarlo”.
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