I batteri “mangia petrolio” un giorno potrebbero ripulire i nostri mari

02 Settembre 2021 06:00

In breve:

  • In Canada, nell’Oceano, sono stati isolati batteri in grado di scomporre il petrolio
  • Rappresenterebbero una soluzione naturale ai disastri legati alle fuoriuscite di idrocarburi
  • In realtà conosciamo questo tipo di organismi da tempo ma non siamo riusciti ad utilizzarli su larga scala, in parte anche per la loro breve vita

Rilevati anche in Canada i batteri “mangia petrolio”, in grado di scomporre le molecole degli idrocarburi e, potenzialmente, ripulire acque contaminate da perdite dei petrolio o gasolio. Anche in Italia si stanno conducendo esperimenti per arrivare ad una loro applicazione su larga scala, che rappresenterebbe una svolta nella qualità e tutela delle acque.

La scoperta dell’Università di Calgary

Un gruppo di studiosi dell’Università di Calgary, in Canada, ha scoperto che all’interno delle acque del Mar glaciale artico si trovano particolari batteri in grado di scindere le molecole di petrolio e gasolio disperse. Paraperlucidibaca, Cycloclasticus e Zhongshania avrebbero quindi proprietà fondamentali che se applicate a fuoriuscite di idrocarburi potrebbero aiutare gli ecosistemi marini a riprendersi. Gli scienziati hanno condotto un esperimento, simulando una fuoriuscita di petrolio all’interno di bottiglie, mescolando a campioni di fango raccolti nei fondali un surrogato dell’acqua marina e aggiungendo gasolio. Una volta ricreato questo ambiente artificiale ma fedele a ciò che accade realmente in natura, gli scienziati hanno conservato il tutto a 4 gradi centigradi (temperatura del Mare del Labradror) per diverse settimane. “Le nostre simulazioni hanno dimostrato che batteri presenti naturalmente nell’acqua e capaci di degradare gli idrocarburi rappresentano la prima risposta del mare ad una fuoriuscita di petrolio”, racconta Casey Hubert, uno dei primi firmatari dello studio.

Tra i ricercatori uno studente del posto, il primo a sequenziale questi batteri

Tra gli autori dello studio già pubblicato c’è anche Sean Murphy, professore associato di geomicrobiologia dell’università, cresciuto tra Terranova e Labrador e che quindi ha vissuto da vicino il fondamentale rapporto che collega le acque dell’Oceano alla vita quotidiana degli indigeni. Il microbiologo ha concentrato i suoi studi proprio sulle tecnologie applicabili alle basse temperature delle acque canadesi per mitigare l’impatto di fuoriuscite di idrocarburi nell’Oceano. È stato infatti Murphy il primo ad essersi accorto di questi batteri. Lui, nativo del luogo, nel 2015 aveva raccolto dei campioni proprio nel Mare del Labrador e sequenziando il genoma di questi batteri aveva intravisto questa particolare abilità dei batteri di scomporre gli idrocarburi. L’elemento interessante è che questo tipo di batteri non era mai stato rilevato in precedenza nei luoghi dello studio.

“Un video del 2015 pubblicato da National Geographic, dedicato proprio ai batteri mangia-petrolio (sono disponibili i sottotitoli in italiano”

Mettere il turbo all’attività dei batteri

I risultati della ricerca non si fermano qui. Il team di ricerca canadese è infatti anche giunto ad una conclusione: si può “mettere il turbo” ai batteri, accelerando il processo di scomposizione degli idrocarburi. Come? Dando ai batteri nutrienti come azoto e fosforo, che incrementano la capacità di questi organismi di scomporre petrolio e diesel nell’acqua. “Possiamo indurre una sorta di turbo nel loro metabolismo aggiungendo nutrienti, il che è una delle cose che abbiamo testato nel nostro studio ed è uno degli approcci possibili”, spiega Murphy. “Questo tipo di sostanze sono limitate nell’ambiente dell’oceano ma se riesci a fornire al batterio una certa quantità di questi nutrienti in proporzione al petrolio si può rendere il processo più efficiente”.

Una categoria di batteri in realtà già nota all’uomo

Il loro termine tecnico sarebbe “batteri idrocarburoclastici” e la loro sigla “BIC”, ma sono chiamati più generalmente batteri “mangia petrolio”. La presenza di questi batteri è stata rilevata proprio nelle zone in cui in passato si è verificato un versamento di petrolio e potrebbero essere effettivamente utilizzati per combattere la contaminazione degli ambienti naturali. La criticità principale della loro applicazione è la longevità. Questi batteri infatti avrebbero una vita troppo breve per poter avere effetti duraturi sull’ambiente, cessando di vivere ben prima di aver eliminato elevate quantità di idrocarburi. Stando a quanto riporta il Cnr, però, gli studi effettuati presso la sezione di ricerca di Messina avrebbero dato buoni risultati: “Studi su mesocosmi [sistemi sperimentali per sperimentazioni di dimensione più ampia rispetto ai microcosmi di laboratorio, ndr] hanno dimostrato che alla proliferazione dei BIC corrispondeva un abbattimento dell’inquinante: a 8 giorni dalla contaminazione indotta artificialmente (mediante aggiunta di petrolio e nutrienti) il ceppo Alcanivorax sp. rappresentava il 40 % della popolazione microbica e la quantità di idrocarburi si riduceva del 50%”. In altre parole il batterio si era riprodotto a grande velocità e metà delle sostanze come petrolio e diesel si erano ridotte proprio per l’attività di questo organismo. Una buona notizia che lascia aperta la porta per nuovi futuri sviluppi della ricerca.

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