Il veicolo spaziale cinese scopre come l’acqua nasce nelle rocce della Luna

25 Giugno 2022 14:00

Il lander cinese Chang E-5, che nel 2020 aveva fornito la prima conferma della presenza di acqua nelle rocce e sul suolo lunare, ha ora portato ad un’altra importante scoperta: da dove viene l’acqua presente sulla Luna.
Analizzando i campioni riportati sulla Terra nel 2021, infatti, ricercatori guidati dall’Accademia cinese delle Scienze hanno potuto determinare che la maggior parte dell’acqua ha origine proprio sul nostro satellite, mentre solo una piccola parte si forma con il contributo del vento solare.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature Communications, fornisce informazioni che potrebbero essere preziose per la futura costruzione di una base lunare.
Chang E-5, sia tramite i campioni raccolti sulla Luna, nell’Oceanus Procellarum, sia tramite analisi condotte direttamente sul posto grazie agli strumenti presenti a bordo, ha trovato tracce della molecola idrossile, che è per l’acqua quello che il fumo è per il fuoco: una prova.
Composta da un atomo di ossigeno e uno di idrogeno, si tratta infatti dell’ingrediente principale dell’acqua e il prodotto più comune quando questa reagisce con altre sostanze. I ricercatori, guidati da Jianjun Liu e Bin Liu, esaminando queste molecole, hanno scoperto che avevano due fonti diverse. Una piccola parte si trovava nel materiale vetroso che si forma quando il vento solare interferisce con la superficie lunare, e ha quindi un’origine esterna al satellite.
La maggior parte, invece, era contenuta nell’apatite, un minerale cristallino che si trova sia sulla Luna che sulla Terra. “Questo dimostra la presenza di acqua di origine lunare – commenta Chunlai Li, uno degli autori dello studio – e che questa ha svolto un ruolo importante nella formazione e cristallizzazione del magma basaltico presente sul nostro satellite”.

IN ITALIA SI STUDIA L’ASTEROIDE
Verrà analizzata in Italia una parte dei campioni dell’asteroide Ryugu, prelevati e riportati sulla Terra dalla missione Hayabusa 2 dell’Agenzia spaziale giapponese (Jaxa). Il team guidato da ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) è stato selezionato, insieme ad altri gruppi di scienziati di nove Paesi, per studiare alcuni frammenti rocciosi dell’asteroide e approfondire così la conoscenza della sua composizione e della sua storia evolutiva.
“Per noi è un onore e un’emozione poter essere tra i primi scienziati, al di fuori del team di Hayabusa 2, a poter analizzare questi campioni extraterrestri”, commenta Marco Ferrari, ricercatore dell’Inaf di Roma che coordinerà le indagini del team italiano.
“I campioni che riceveremo – aggiunge – sono delle particelle di circa due millimetri. Nel nostro laboratorio abbiamo l’opportunità unica di studiare queste particelle di Ryugu con lo spettrometro Spim, una replica esatta dello spettrometro italiano Vir a bordo di Dawn, un’altra missione dedicata allo studio degli asteroidi. Questo renderà i dati raccolti sulle particelle assegnateci direttamente confrontabili con le osservazioni che abbiamo fatto su Cerere”.
La sonda Hayabusa 2 è arrivata all’asteroide Ryugu il 27 giugno 2018, ha raccolto 5,4 grammi di campioni durante due touchdown nel 2019 e ha rispedito a Terra la capsula con i campioni, che è atterrata il 6 dicembre 2020.
Nel dicembre 2021 l’Astromaterials science research group (Asrg) della Jaxa ha aperto il primo bando per rendere disponibile alla comunità scientifica internazionale alcune delle particelle raccolte.
Il team italiano, che vede la partecipazione di Inaf, Agenzia spaziale italiana (Asi) e Università di Pisa, è risultato tra i 40 gruppi in tutto il mondo che potranno analizzare il prezioso materiale recuperato, a valle di una valutazione effettuata dalla Jaxa su 57 proposte complessive. Al team italiano verranno assegnati due campioni da poter analizzare con molteplici tecniche di laboratorio, per investigare la natura di Ryugu e dei corpi analoghi ad esso.

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