La rockstar della poesia contemporanea Eileen Myles: «In "Chelsea Girls" una parte autobiografica, tra incontri, musica e avventure newyorkesi in prosa sperimentale»

Il romanzo, tradotto da Alessandra Ceccoli, è edito da Mattioli 1885

Eleonora Bagarotti
Eleonora Bagarotti
|1 settimana fa
La copertina di "Chelsea Girls" di Eileen Myles
La copertina di "Chelsea Girls" di Eileen Myles
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Per la prima volta in Italia, un cult di libertà e sperimentazione, firmato da una rockstar della poesia contemporanea.
Eileen Myles è una poetessa il cui talento è sbocciato a New York, dove negli anni Settanta ha lavorato al leggendario Chelsea Hotel e sfiorato alcune leggende, anche musicali. Ne parla, ma solo in parte, in “Chelsea Girls”, un romanzo «ispirato solo in parte alla mia esistenza, scritto con una prosa sperimentale». Ora è stato tradotto (benissimo) in italiano da Alessandra Ceccoli per l’editore Mattioli 1885 (255 pp, 29 euro).
Eileen Myles, lei ha vissuto un vita sopra le righe in un’epoca straordinario. Perché ha deciso di condividere la sua esperienza in questo libro di stampo autobiografico, diverso dai suoi precedenti?
«Ho scritto questo libro negli anni Ottanta e Novanta. Ho sempre desiderato scrivere un romanzo, ho sempre desiderato scrivere un libro d’artista sul passaggio all’età adulta, al femminile e persino “queer”, dato che la maggior parte dei libri che avevo letto parlavano di uomini. Credo di aver iniziato nel 1979 e di aver terminato il libro nel 1993, con molte poesie e storie di vita vissuta nel frattempo. Sebbene abbia usato la mia vita, ho inventato cose, quindi considero questo libro un romanzo».
New York in quegli anni era un crocevia di artisti... qual era il più importante per lei?
«Io amavo soprattutto i poeti come Allen Ginsberg e amavo le eroine lesbiche come Jill Johnston, ma soprattutto amavo la città, che era la vera protagonista. Anche se New York era un disastro, c’era un sacco di spazio per i giovani, per occupare le fessure, fare rumore, stare in silenzio, leggere e scrivere. La Big Apple era la cosa importante, non un singolo individuo. Eravamo come pellegrini. Io, i poeti, gli artisti e le artiste, ma anche tutte le persone».
Patti Smith, la poesia e la musica. Robert Mapplethorpe, Bob Dylan, Leonard Cohen... mi sembra il paradiso in terra. Lei ha vissuto, come loro, nel leggendario Chelsea Hotel. Che ricordi ha di loro?
«Non sono mai stata amica di Patti Smith. Ci salutavamo, ma non abbiamo mai parlato in modo confidenziale. La coincidenza è che Robert Mapplethorpe mi ha scattato una foto e l’ho incontrato, e in questo libro parlo soprattutto del nostro incontro. Naturalmente ho visto Patti esibirsi un sacco di volte. Così come gli altri artisti, ma quello con cui ho avuto più confidenza è stato Robert».
Torniamo al Chelsea e alla Bowery. Si è molto parlato del Chelsea Hotel. Lì sono successe molte cose, belle e brutte, incontri e sogni. Cos’era per lei il Chelsea Hotel?
«Lavoravo per un poeta, James Schuyler, che viveva lì, quindi l’ho visto quotidianamente per circa un anno, poi sono andata a trovarlo fino alla sua morte e ho partecipato a diverse feste e cene. Il Chelsea, non solo per me, era un punto di riferimento di New York. Era il mio luogo di lavoro ed era magico. Da bambina ricordo di essere rimasta colpita dalla targa che diceva che il poeta Dylan Thomas aveva soggiornato lì quando morì. Ho dormito in quel posto solo una notte della mia vita, facendo sesso con una persona che ho incontrato quella stessa notte e lo descrivo proprio nel racconto che dà il titolo al libro (di cui non vuole anticipare troppi dettagli, ndr.)».
Andy Warhol. Un genio. Ha anche lanciato i Velvet Underground. Quanto è stata importante la musica in quegli anni e nella sua vita, anche come eventuale influenza o fonte d’ispirazione per la sua poesia?
«Amo i Velvet Underground. Mi piacevano un sacco ma purtroppo non li ho mai visti esibirsi dal vivo. Li ho persi per pochi anni. Erano gli anni Sessanta, io sono arrivata a metà degli anni Settanta. Ero più influenzata dal Punk. Gruppi come i Television erano i miei preferiti. Vivevo molto vicino al CBGB, quindi ci andavo sera dopo sera. Lo facevamo tutti. Ma nel libro mi soffermo soprattutto su altri aspetti. Volevo scrivere una storia vera e propria, in prosa sperimentale, su una giovane lesbica che diventava artista. Tutti amavamo Andy Warhol e lui era presente alle feste molte sere, e se lui o Allen Ginsberg erano presenti tu ti sentivi nel posto giusto, ma non significava che ti fossi divertito. I bei tempi erano molto più oscuri e non riguardavano la fama. La musica era la forma d’arte numero uno per la mia generazione. Le band ci rappresentavano politicamente».
Ci fa qualche esempio?
«Bush Tetras, e sì, ho visto Patti Smith esibirsi all’Hotel Diplomat con una folkista, Sandy Bull, nel 1978 ed erano entrambe fantastiche e pensavamo che stesse ridefinendo la poesia. Io però non ho mai voluto far parte di una band. Volevo scrivere».
Una recente fotografia dell'autrice
Una recente fotografia dell'autrice
IL LIBRO
Ambientato nella New York degli anni ‘70 e ‘80, “Chelsea Girls” racconta le esperienze giovanili di Eileen Myles. Ma è anche un romanzo narrato con voce audace e con uno stile originale. Il volume intreccia i ricordi dell’educazione cattolica, della convivenza con un padre alcolizzato, di un’adolescenza instabile, dell’orientamento sessuale - al tempo non ancora dichiarato - e degli ardui tentativi di sopravvivere come poeta “queer” in un periodo assai tumultuoso per la metropoli americana.
Tra alcol, droghe, sesso e aneddoti legati a personaggi mitici come Patti Smith, Robert Mapplethorpe (che scattò la foto di copertina utilizzata per questo volume), Andy Warhol e Allen Ginsberg, “Chelsea Girls” dipinge un affresco meraviglioso.
LA BIOGRAFIA
L’autrice, Eileen Myles (classe 1949), ha pubblicato oltre venti opere tra raccolte di poesie, narrativa, saggistica e testi per spettacoli teatrali e performance. Figura di culto per una generazione di scrittori e artisti, Myles ha saputo imporsi come voce originale e fuori dagli schemi nel panorama letterario contemporaneo.
Oggi vive tra Marfa, nel Texas, e New York.
SEMPRE E PER SEMPRE, LA BIG APPLE
A proposito della sua casa nel Village, a New York, abbiamo fatto un’ulteriore domanda a Myles, stavolta strettamente legata all’attualità, sia culturale che politica, della Grande Mela e degli Stati Uniti.
Eileen, dopo gli anni della Rivoluzione, dei Diritti Civili, dell’Arte... New York è cambiata. Molto. E anche l’America. Ma giorni fa è stato eletto un nuovo sindaco, Zohran Mamdani, e sembra vi siano nuove possibilità per tutti. Cosa ne pensa lei, che a New York è vissuta, sbocciata come autrice e ancora, in parte, ci vive?
«Zohran Mamdani è un essere umano. Un essere umano grandioso. Vedremo cosa gli riserverà Donald Trump. Questo è un momento orribile. E io non credo che una persona da sola possa apportare un grande cambiamento, ma Mamdani sta dicendo cose che nessun politico americano ha avuto il coraggio di dire prima d’ora. Tutti devono dirle. Il nostro sistema è completamente corrotto, e lo è sempre stato, ma le forze dell’avidità e del male sono completamente al comando in questo momento e stanno rivelando tutte le falle del sistema che aspettavano un dittatore o un re. Il sistema stesso deve essere ricostruito se vogliamo sopravvivere a questo momento. Dato che la nostra economia è stata costruita sulla schiavitù e la nostra terra è stata acquisita con un genocidio, qualsiasi cosa l’America faccia nel mondo non dovrebbe sorprenderci. Ma siamo sorpresi, e questa è una grande lezione e l’inizio di qualcosa, se non la fine definitiva».