Racconti narrati due volte, la seconda a fumetti
Miguel de Cervantes, Franz Kafka e Alessandro Manzoni erano sceneggiatori di comics, ma non lo sapevano
Alessandro Sisti
|2 settimane fa

La fabbrica del piano-sequenza di De Luca per "Romeo e Giulietta"
I “Racconti narrati due volte” sono una delle opere più famose di Nathaniel Hawthorne, che così ne intitolò la raccolta avendoli pubblicati in precedenza su periodici e riviste (a volte senza nemmeno firmarli), ricavandone ben due volumi in tre edizioni. Encomiabile iniziativa – io sono un convinto sostenitore del “non si butta via niente” – adottata anche dal fumetto, così che le storie di successo si continuano a ristampare per decenni, fedeli all’originale o in formati diversi, rielaborate con più sofisticate tecniche di colorazione, a sé stanti oppure in antologie a tema e addirittura in differenti versioni già dalla prima uscita, con le copertine “variant” agognate dagli appassionati. Tuttavia non alle infinite riedizioni è dedicata l’Officina di questa settimana, bensì al particolare genere fumettistico degli adattamenti. Anche a chi non legge abitualmente i comics sarà capitato di sfogliarne qualcuno, attirato da un titolo conosciuto se non celebre e spesso perfino monumentale, poiché appunto si tratta delle trasposizioni disegnate di capolavori letterari. Non è un astuto trucco per risparmiarsi la fatica d’inventare storie nuove, bensì un prodotto editoriale che nasce negli Stati Uniti verso la metà del secolo scorso e a lanciarlo nel 1941 è Albert Lewis Kanter, motivato dall’enorme diffusione dei comic books fra i militari americani. Kanter è figlio d’immigrati russi e la sua cultura europea gli suggerisce l’idea di proporre le versioni a fumetti dei grandi classici a quei soldati che non ne avrebbero mai letto gli originali. Fonda perciò la casa editrice Gilberton Company, con un successo che apre un mercato da più di quaranta milioni di lettori e inaugura il modello dell’edutainment, vocabolo che fonde educational ed entertainment, ossia acculturazione e intrattenimento. È con questo obbiettivo che nel dopoguerra la Gilberton si espande al pubblico più giovane, censurando le scene ritenute inadeguate ai ragazzi, ma conservando fedelmente – Kanter se ne faceva un vanto – le battute dei personaggi così come le avevano scritte i romanzieri. Con titoli che spaziano dal primo “I Tre Moschettieri” a “Moby Dick”, “Davide Copperfield” e “Delitto e Castigo”, senza dimenticare “La Guerra dei Mondi”, “Alice nel Paese delle Meraviglie” e il “Giulio Cesare” seguito da buona parte dei drammi di Shakespeare, la serie Classics Illustrated viene adottata come supporto didattico nelle scuole e fino al 1971 totalizza la bellezza di 160 uscite, superando i 250 milioni di copie in tutto il mondo.

Nel nostro Paese il fenomeno degli adattamenti è simile nell’intenzione di porgere alle masse di ogni età opere importanti che altrimenti pochi osano sfidare, magari invogliando a leggerne poi gli originali, ma è all’opposto per altri aspetti. Negli anni Quaranta la tradizione umanistica nazionale (ammettiamolo: all’epoca un po’ altezzosa e stantia) guarda con diffidenza se non con aperto disdegno alla recente proliferazione dei “giornaletti”, per cui Giulio Cesare Ventura con i suoi Albi della Ventura si propone sia d’offrire letteratura a vignette ai meno preparati, sia di riflesso di nobilitare il fumetto pubblicando Dumas, Stevenson e Victor Hugo negli adattamenti sceneggiati da Antonio Mancuso o Amilcare Medici e disegnati da Lina Buffolente e Francesco Pescador. L’avventura degli Albi della Ventura dura soltanto due anni, dal 1945 al ’47, a differenza dei trenta della Gilberton, ugualmente sufficienti per sessanta numeri e dieci raccolte. Il fumetto come veicolo per avvicinare nuovi lettori ai testi immortali è ormai sdoganato e nel contempo, segnatamente nel quarto di secolo fra la metà degli anni Sessanta e i Novanta, conquista la propria dignità di mezzo artistico ed espressivo, per cui la rilettura delle opere letterarie cambia di senso: da quello della divulgazione attraverso un linguaggio popolare a oggetto d’ispirazione per i maggiori fumettisti, che ne traggono realizzazioni altrettanto significative degli originali, destinate a un lettorato esperto. Così Hugo Pratt ripropone graficamente “La Tigre della Malesia” di Salgàri oltreché nientemeno che l’omerica Odissea, mentre le tavole di Guido Crepax rinnovano classici della letteratura erotica come “Justine” del marchese De Sade, “Histoire d’O” di Pauline Réage o la “Venere in pelliccia” di Von Sacher-Masoch, ma anche “Giro di Vite” di Henry James, “Il Processo” di Kafka e vari racconti di Edgar Allan Poe. A Poe si rifà anche Dino Battaglia, il quale inoltre traduce in immagini e balloon i cinquecenteschi “Gargantua e Pantagruel” di Rabelais e “Till Eulenspiegel” attribuito a Hermann Bote, nonché “La Mummia” di Arthur Conan Doyle. Sono il pretesto per le raffinate sperimentazioni d’arte di Battaglia, che alle tecniche tradizionali di matite e inchiostrazione unisce tavole ricoperte di pittura per le pareti con i tratti incisi graffiandola ed effetti ottenuti tramite tamponature con materiali assortiti.

Forti dell’alta levatura delle trame d’origine, gli adattamenti sono anche il campo d’azione ideale di Gianni De Luca, altro maestro del fumetto italiano, che nelle rivisitazioni dei copioni shakespeariani di “Amleto”, “Romeo e Giulietta” e de “La Tempesta” concede ampio spazio al piano-sequenza fumettistico, diverso da quello cinematografico e consistente nell’inquadrare con un campo allargato la scena dell’azione che le figure ripetute dei protagonisti attraversano, unendo una sequenza temporale in un’unica visione anziché scandirla in vignette separate. Raffinatezze che illustrano quali e quante modulazioni possa avere il concetto di adattamento, attivatore nel fumetto d’invenzioni registiche e d’autore, irripetibili negli altri media.

Tuttavia gli adattamenti dei classici più rari e ricercati dai collezionisti non sono stati distribuiti dalle edicole o in libreria, ma… in farmacia. Si tratta della Collana dei Libri Celebri, albi spillati dal piccolo formato a striscia, fatti realizzare fra gli anni Cinquanta e Sessanta dalla Magnesia San Pellegrino come omaggio agli acquirenti dei propri prodotti, riduzioni (com’erano chiamate allora) dai titoli che spaziano dal “Don Chisciotte” di Cervantes a “I Promessi Sposi” di Manzoni, a “I viaggi di Gulliver” di Swift e al salgariano “Il Corsaro Nero”, oggi assolutamente introvabili. Se ne possedete qualcuno ereditato, ritrovato in solaio o (se non siete più di primo pelo) risalente a quando li raccoglievate accanitamente da piccoli com’è nel mio caso, conservateli con cura, anche perché al presente la produzione degli adattamenti a fumetti è divenuta meno consueta. Esistono editori che continuano a pubblicarne, comprendendo titoli di pregio e attuali come “La luna e i falò” di Cesare Pavese o “Sostiene Pereira” di Antonio Tabucchi, entrambi adattati a graphic novel da Marco D’Aponte e Marino Magliani, o “Il Grande Gatsby” di Francis Scott Fitzgerald, convertito in fumetto da Aya Morton e Fred Fordham, nondimeno il catalogo è relativamente ridotto. La ragione è forse che proprio grazie alle graphic novel il fumetto si è accreditato di per sé come un prodotto letterario a pieno titolo e chissà mai che prima o poi non ci accada d’assistere a un’inversione di tendenza, con le novelization – come si definiscono fra gli addetti ai lavori – dei romanzi grafici più acclamati, ovvero il loro adattamento in romanzi testuali. Piaceranno, perché una bella storia, che la si confezioni con disegni, parole, suoni o qualsiasi altro ingrediente, resta sempre e comunque tale.

