L'Ingegnere che rese indimenticabile lo sconosciuto Piacenza

Il 30 dicembre 1996, esattamente 29 anni fa, morì Leonardo Garilli

Paolo Gentilotti
|2 ore fa
L'Ingegnere che rese indimenticabile lo sconosciuto Piacenza
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Ventinove anni fa, il 30 dicembre 1996, giusto oggi, moriva Leonardo Garilli. L’Ingegnere per tutti, perché se lo chiamavi presidente ti colpiva dritto fra la terza e la quarta costola.
Era orgoglioso degli studi al Politecnico di Milano, ripeteva fino all’ossessione che non voleva essere ricordato solo come presidente del Piacenza Calcio, al quale aveva anche fatto anche ridisegnare il logo, quello con la testa di lupa stilizzata.
Guidava l’azienda, la Camuzzi, che dal 1975 forniva gas a tutta Piacenza, ma anche a tante altre città e programmava l’assalto all’Argentina: quando fu ceduta all’Enel la valutazione è stata di oltre un miliardo di euro. È fallita poco dopo che la stessa sorte era toccata al suo Piacenza Calcio, ma lui se n’era già andato.
Aveva 73 anni, ne avrebbe compiuto uno in più di lì a pochi giorni, il 7 gennaio 1997.
Aveva lasciato la moglie Fernanda all’Hotel Royal di Sanremo, dove per consuetudine trascorrevano le feste di fine anno. Impegni di lavoro lo richiamavano a Milano, ma sarebbe tornato in Riviera dopo poche ore. L’infarto lo ha colto alla scrivania. Il suo Piace era in testa alla classifica di Serie B, il campionato era fermo per le feste, la notizia si diffuse nel tardo pomeriggio. La camera ardente allestita allo stadio, poi il funerale in Duomo, sotto una fitta nevicata, la bara portata dai suoi biancorossi e dal baffo triste di Gigi Cagni. Perché non ci credeva mica tanto quando diceva di volere slegare il suo ricordo da quello del calcio. Vero, le partite in casa le seguiva in buona parte dalla sede sotto la tribuna ma poi, a casa, vedeva e rivedeva a video le gesta di quella squadra che stava incantando.
Leonardo Garilli con l'allora sindaco Stefano Pareti
Leonardo Garilli con l'allora sindaco Stefano Pareti

Era un parvenu del calcio: prima di rispondere alle sollecitazioni del sindaco Stefano Pareti, si era presentato due-tre volte allo stadio, in incognito, tanto per capire che aria tirava. Sempre orientato su Milano per il lavoro, rientrava ogni sera nella sua magione, che teneva un isolato intero nella zona di via Sidoli, con laghetto, serra e discoteca per i figli, un intero museo d’arte allineato nelle catacombe, vicino al garage denso di Ferrari e Jaguar. Ma tenne sempre un profilo bassissimo, un ricco imprenditore quasi sconosciuto alla città, per la quale sentì improvvisamente il bisogno di fare qualcosa, in bilico fra il diventare sponsor del Teatro Municipale e il raccogliere le ceneri di una società calcistica in fallimento, che diventò sua il 15 luglio 1983, a tarda ora, nello studio dell’amico Sergio Dallagiovanna. Pretese solo di avere la massima collaborazione dal Comune, non promise nulla ma aveva già in testa la Serie A. Per arrivarci partiva dalla C2.
Inutile ricordare le vicende calcistiche, la nascita del Piacenza “Made in Italy”, i torti subìti ai quali non si è mai opposto in forma ufficiale. Quando fu “fregato” da Milan-Reggiana disse una sola cosa: calma, il prossimo anno torniamo su subito. Altra promessa mantenuta. Il miracolo era anche quello di una società snella e attenta, che si basava sulla struttura già collaudata all’interno della Camuzzi e rinvigorita da scelte lungimiranti di uomini e idee. Enormi successi sportivi, abbinati a bilanci sempre in ordine e sempre sotto il grande cappello della Camuzzi Gazometri.
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All’interno dello strano mondo del calcio, si muoveva secondo regole tutte sue. «Il calcio è un mondo di bastardi - amava dire - mancavo solo io». Mica vero: lui il bastardo non lo fece per niente. Pretendeva solo il rispetto che non sempre ha avuto, la chiarezza dei ruoli, il rispetto delle regole, che dovevano valere per tutti. Chiamato a presiedere una riunione dei presidenti della Lega di Serie A, negò la parola ad Antonio Matarrese, presidente della Federcalcio, perché non si era iscritto a parlare nei tempi consentiti. Mascherava l’amore profondo per la città, ma una volta disse: «Prima dei successi nel calcio, la gente confondeva Piacenza con Vicenza, in molti nemmeno sapevano dove fosse la nostra città».
Anche per questo va ringraziato, anche per questo il suo ricordo non si è mai attenuato, fra i calciofili ma non solo. Passò la mano brevemente al figlio Stefano, poi al maggiore Fabrizio, la cui vicenda è stata ben più tormentata: non facile raccogliere un’eredità così mastodontica, crescere e operare sullo sfondo di un confronto inevitabile. La stessa presenza fisica era dominante, i modi facili da scambiare per arroganza, la sostanza, anche umana, in realtà assai spessa.
Gli hanno intitolato lo stadio, lo hanno fatto all’uomo che ci ha strappato dal provincialismo del calcio e non solo, che ha creato le uniche situazioni nelle quali questa città si è riconosciuta al cento per cento: ricordate le magliette con scritto “Orgoglioso di essere piacentino”?
Fernanda, la moglie discreta ma condizionante, se n’è andata nel febbraio del 2013 (si auto-definiva “mamma” di tutti i calciatori del Piace), Stefano e Fabrizio sono da tempo usciti dal calcio. Ma nessuno potrà cancellare quel cognome.