Chi ben comincia è a metà... della storia, se sa come sfruttare i segreti dell'incipit
Sceneggiare fumetti richiede tanta fantasia, ma anche parecchia tecnica per poter dire "Buona la prima"
Alessandro Sisti
|1 settimana fa

La prima, drammatica apparizione di Corto Maltese di Hugo Pratt- © Libertà/Alessandro Sisti
Ricordate “Alice nel Paese delle Meraviglie”? Intendo il film d’animazione Disney del 1951 e in particolare quella sequenza in cui Alice, spaesata e confusa, non sa bene da dove iniziare per raccontare tutte le assurdità che le sono capitate. «Comincia dal principio – le consigliano la Lepre Marzolina e il Cappellaio Matto – e quando arrivi alla fine, fermati». Nell’ultimo capitolo del testo originale di Lewis Carroll è invece il Re a ordinarlo al Bianconiglio, nondimeno la sostanza del suggerimento sul modo di organizzare un racconto resta la medesima ed è inoppugnabile. Almeno nel Paese delle Meraviglie, perché qui da noi le cose vanno diversamente e chi scrive storie (per farne fumetti, film, romanzi o quello che preferite) affronta immancabilmente lo stesso interrogativo di Alice: da dove parto? È il problema dell’incipit, come si definisce l’inizio della narrazione con un termine una volta tecnico, ma ormai entrato nell’uso comune, dalla scuola ai titoli dei programmi televisivi. Un problema legato al fatto che voi lettori, nonché il pubblico in generale, siete tipi difficili e non di rado la prima battuta d’una storia vi basta a decidere se andare oltre per scoprire cos’altro succederà, oppure no!

Bisogna catturare la vostra attenzione e se si parte dal principio, quando ancora non è successo nulla d’interessante, si rischia di non farcela. C’era una volta un tale che aveva un’amabile moglie, una deliziosa figlia e vivevano in perfetta letizia: buon per loro, però che noia, così il lettore va a cercare qualcosa di più intrigante e non scoprirà che subito dopo la consorte defungerà e il vedovo consolabile si riaccaserà con una virago profittatrice. La questione vale pure per il fumetto e diventa perfino più complessa, poiché qui anche le immagini e non solo le parole devono attirare e convincere. Per fortuna gli espedienti per aggirare l’ostacolo non mancano. Il più noto, condiviso dalla sceneggiatura per i comics e da tutti i tipi di scrittura creativa, è quello d’iniziare “in medias res”, ovvero nel bel mezzo della faccenda. La sventurata figliola di cui sopra è già fra gli artigli smaltati della perfida matrigna, che le offre mele avvelenate e non la porta al party del principe, intanto Hulk tenta di sfuggire a una folla che lo bracca e Corto Maltese (nella prima vignetta che lo presenta in “Una ballata del mare salato” di Hugo Pratt) è legato su una zattera abbandonata nell’oceano. Com’è potuto succedere? Ce ne occuperemo dopo, ora c’è un’emergenza da risolvere. Alla svelta oppure nel corso dell’intera vicenda, non fa differenza. Possiamo permettercelo se siamo riusciti a persuadervi a continuare a leggere e mi pare sia stato Anton Čechov (non ne sono certo, vi lascio il beneficio d’inventario), prodigo di norme per la scrittura, a dire «comincia dalla metà, va’ avanti con l’inizio e chiudi senza concludere». Con tanti saluti al Cappellaio Matto, tuttavia ci sono occasioni in cui le premesse risultano indispensabili per capire e non possiamo saltarle a pie’ pari. Pazienza, è sufficiente guardare di nuovo nella cassetta degli arnesi narrativi e tirar fuori un altro stratagemma. Per esempio quello dell’incipit in flashback, o “in analessi” per gli sceneggiatori colti, che poco ma sicuro avete già visto. I nostri protagonisti sono un gruppo di gargoyle stregati (quelli della vecchia serie Disney a fumetti e in animazione intitolata “Gargoyles”), che come supereroi proteggono una metropoli contemporanea. Cosa li ha portati dal medioevo ai grattacieli? Farcelo spiegare da loro sarebbe lungo e verboso, tanto più che un altro comandamento fondamentale insegna “show don’t tell”, cioè “mostra, non raccontare”. Quindi mostriamolo – appunto in flashback – con un’appassionante scena di battaglia, terminante con il sortilegio per il quale i gargoyle si ritrovano ai nostri giorni. Eviteremo la prolissità, apriremo la storia in piena azione e il lettore, quando li vedrà abbattere gli elicotteri dei malvagi, non ci troverà nessun anacronismo. In alternativa possiamo fare il contrario e allestire un incipit in flashforward (che gli sceneggiatori eruditi di prima chiameranno “prolessi”), scegliendo un momento emozionante dalla parte centrale del narrato e ricopiandolo in principio. Sul tetto d’un treno in corsa, Topolino affronta un sinistro figuro mentre il convoglio imbocca un’oscura galleria e nel contempo il mitico Thor, a bordo di un’astronave, sussulta sgomento vedendo il padre Odino inchinarsi ai nemici e in tutt’e due gli incipit una didascalia si domanda (insieme al lettore) cosa mai li abbia portati in una simile situazione. Per poi di solito aggiungere “Torniamo a qualche giorno fa…” e voltando pagina ecco l’antefatto. Che è il vero incipit della trama e con un tono meno drammatico prosegue in crescendo, fino a ricongiungersi alla scena madre dell’apertura. Da lì al finale, con il doppio effetto di sostituire l’incipit reale poco coinvolgente con uno strumentale, d’impatto e stimolante, e di spingere il pubblico a ripercorrere gli eventi che l’hanno provocato. Il motore è la curiosità, che anche le visioni inesplicabili possono accendere.

Proviamo con un’altra ipotesi. Una ragazza entra in un ambiente quotidiano come il salotto di casa, dove all’improvviso scorge qualcosa che la sconvolge e strilla. Funziona? Sì, però in un film, in cui l’azione avanza indipendentemente dalla volontà dello spettatore, che volente o nolente segue la ragazza nell’apparente quiete domestica e vede con lei ciò che la sciocca. Nell’incipit di un fumetto, corrispondente alla splash page (ovvero la vignetta d’apertura a tutta pagina), è chi legge a decidere non solo se andare avanti, ma anche il ritmo della lettura e una tipa che attraversa il salotto non è molto coinvolgente. Se però la stessa grande vignetta ne mostra subito in primissimo piano il viso stravolto e urlante, diventa difficile non voltare pagina per sapere cosa la agita tanto. Senza alterare il contenuto narrativo, l’incipit ben confezionato avrà fatto il suo lavoro. Un grattacielo che decolla come un razzo, una pagina di vignette completamente nere e immerse nel buio o una panoramica veneziana in cui tutti i piccioni di piazza San Marco si sono trasformati in corvi, in incipit diventano altrettante domande alle quali i lettori desiderano una risposta. La troveranno nelle pagine seguenti. Un ridotto contenuto emotivo può essere funzionale a illustrare il setting, ossia lo scenario da cui la storia prende le mosse, purché l’immagine sia opportunamente complessa e narri tramite i dettagli, tuttavia l’apertura meno efficace è quella che non fa sensazione né produce interrogativi. Eppure la troviamo in fumetti – anzi, in bandes dessinées – d’autori di rango e mestiere come la saga di Asterix, dove la prima inquadratura spesso mostra il villaggio del protagonista in assoluta tranquillità, corredato da una didascalia che sottolinea come la vita vi trascorra pacifica. La ragione è che le avventure dell’astuto gallo venivano in genere pubblicate in albi con cadenza annuale e il lettore, tornando al villaggio dopo un anno d’assenza, trovava rassicurante scoprire che intanto non era cambiato nulla. Se avete in mente di darvi alla scrittura, adesso sapete meglio della povera Alice da dove cominciare… altrimenti potete approfittarne per farvi belli (sia leggendo fumetti sia al cinema: i trucchi di sceneggiatura sono gli stessi), commentando con dotta superiorità «Hai visto? Ha sfruttato l’analessi per un incipit in medias res».


