Cappon Magro, a Bobbio due chef che sposano innovazione e tradizione

Di Giorgio Lambri 02 Agosto 2021 11:55

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Si chiama come una specialità tradizionale ligure a base di pesce e verdure, un piatto di magro, creato per onorare i giorni di penitenza e quaresimali. Con il “Cappon Magro” l’alta cucina risale il Trebbia fino a Bobbio e si palesa seguendo due scuole di pensiero, quella della tradizione e quella dell’innovazione, con identico, sorprendente risultato in termini di qualità ed equilibrio, eleganza e delicatezza.
E questo grazie alla meravigliosa sinergia professionale tra Federica Cella Zanacchi, bobbiese purosangue lungamente vissuta a Genova, e Mauro Brina, bergamasco di Romano di Lombardia, classe 1990, di cui ho già apprezzato il talento anni fa a Or Cucina d’Arte.
“Two chef is megl che one” verrebbe da dire, mutuando la vecchia pubblicità di un gelato. Federica e Mauro interpretano rispettivamente la cucina della memoria e quella della modernità, fianco a fianco, con estro e rigore, lavorando prima di tutto su materie prime di eccellente qualità.
Se ci entrate per la prima volta vi suggerisco di affidarvi a uno dei due menù degustazione, che “fotografano” egregiamente la doppia vocazione del ristorante. Quello “Innovazione” consta di cinque portate e costa 50 euro, quello “Tradizione” 40 euro con una portata in meno. Io ho scelto il primo e (dopo una divertente amuse-bouche di benvenuto consistente in una fettina di pan brioche ricoperta da crème fraîche all’erba cipollina e acciuga) ho iniziato da un piatto delicato e interessante, “Capesante leggermente scottate, crema di ostriche e pancetta, tuile al limone”, per passare poi a una seconda entrée dai sapori più marcati, ma ugualmente piacevoli, “Scampi in crosta di farina di riso con spuma di patate, crumble all’olio Evo e tartufo nero”. Il menù degustazione guida l’ospite in un crescendo di sensazioni gustative che prosegue con apprezzabilissimi “Spaghettoni monograno Felicetti al cacio e pepe con gambero rosso marinato al lime”. Ma la portata del “the Oscar goes to…” è risultata la “Spigola al té nero affumicato, anguria, acqua di pomodoro al basilico”, una preparazione alla quale mi sono accostato diffidente, ma che mi ha completamente e piacevolmente spiazzato per la complessità e nello stesso tempo la semplicità con cui viene presentata una formidabile giostra di sapori e consistenze. Gran piatto!
Ho poi chiuso con l’allegro “Biancomangiare allo yogurt, fragole e sorbetto alla mela verde”. Bagnando il pranzo con una bollicina da Pinot Nero che da anni pregiligo, “On Attend Les Invités” di Luretta. E a commento di questa scelta vale la pena di aprire una parentesi sulla carta dei vini (by Maison du Cognac) che è davvero intelligentemente poliedrica, con tanta Piacenza, ma anche con tante chicche delle zone più prestigiose del vino, in Italia e all’estero.
Ma torniamo al menù. La degustazione secondo “Tradizione” prevede una selezione di salumi piacentini (coppa, salame e pancetta, ma anche la Mariola e il salame di capriolo) con verdure sott’olio hand made; prima dei “Pisarei e fasò”, che possono essere rimpiazzati dai classici “Maccheroni alla bobbiese fatti a mano al sugo di stracotto di manzo”.
A seguire il “Petto d’Anatra, ketchup di albicocche, albicocche allo zenzero e rosmarino sabbiato” e a chiudere “Crema Royale con fragole, frutti di bosco e spuma allo yogurt”. Ma ogni singolo elemento del menu degustazione può essere rimpiazzato da altri, purché non per un singolo commensale ma per l’intero tavolo.
L’offerta alla carta ricalca peraltro questi piatti con l’aggiunta di altre invitanti creazioni degli chef tipo l’impeccabile e immancabile “cappon magro”, “Cappelletti ripieni di ricotta dell’alta Val Trebbia, caviale “Calvisius” fumetto di pesce al vino bianco e gamberi rossi crudi, “Risotto Carnaroli “Riserva San Massimo” alla bisque di crostacei, burrata, cozze e limone fermentato”, “Tagliolino di grano arso alle vongole, panure croccante, bottarga di muggine”, “Zuppa di pesce servita nel coccio con crostacei e pesce del giorno”, “Baccalà fritto, zabaglione agli agrumi, sedano croccante”, “Secreto di patanegra, salsa parmantier e riduzione ai frutti di bosco”. Per tacere della piccola ma ottimamente assortita selezione di dolci.
In definitiva una bella esperienza gastronomica in un ambiente raffinato ma informale, con giovane e qualificato personale di sala (tanta roba di questi tempi!) in una struttura che si trova nella parte alta del paese, appropriatamente restaurata sulle ceneri di un vecchio laboratorio per la produzione di caglio, che prima ancora ospitava un albergo e ristorante. Federica ci ha lavorato con passione e gusto, creando anche tre accoglienti stanze per un Bed && Breakfast.
Che altro dire? Fateci un salto e provate, oltre alle due sale principali dalle atmosfere piacevolmente rustiche, c’è una terza piccola stanza situata all’interno della torretta, e un quarto particolarissimo locale ricavato da quella che un tempo era l’antica “ghiacciaia”.

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