Alium, spicchio etnico-modaiolo che strizza l’occhio alla cucina internazionale

Di Giorgio Lambri 13 Dicembre 2022 19:28

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Tradendo, per infantile curiosità, un mio antico dogma secondo il quale non si dovrebbe mai andare alla prima serata di apertura di un ristorante, ho deciso di onorare il taglio del nastro di Alium, locale di impronta giovane con fughe etnico modaiole, che attraverso i social promette l’arrivo della cucina internazionale a Piacenza, ubicato con splendida scelta di soluzioni architettoniche in una piazzetta all’incrocio tra via Manzoni e via Cortesi.

Non avevo alcuna certezza su quello che avrei trovato. Alla fine posso dire che è stata un’esperienza discretamente gratificante. Premesso che accolgo sempre con speranzosa soddisfazione l’apertura di un’attività gestita da giovani, il primo pensiero che ho avuto a fine serata è il seguente: questo tipo di ristorazione certamente “spaccherebbe di brutto” in corso Como a Milano mentre a Piacenza dovrà prevedibilmente faticare di più per far breccia nei gusti tradizionalmente conservatori dei miei concittadini. Ma può farcela perché lo spirito è quello giusto!

Partiamo dal meglio: una carta dei vini esaustiva (più di 300 etichette italiane ed estere con ricarichi sensati) e coerente con il menù, presentata da un giovane ma preparato sommelier. Mise en place minimal ed elegante, luce nel piatto appropriata. Arredamento sobrio e rilassante arricchito dalle sculture di Alice Zanin. Pane hand made di ottima qualità. E poi la cucina. Tra carne e pesce, tutto nel segno dell’alta qualità. Lo chef con un discreto vissuto tra Milano e Piacenza conferisce personalità decisa ai piatti sia terrestri che marinari, predilige speziature tra oriente e sudamerica, ma non ne abusa. Partiamo dall’entrèe di polpo alla brace, pimenton (spezia americana ottenuta dal peperone) e zucca in due consistenze (22€) equilibrata fusion etnica presentata elegantemente. Bene anche l’intrigante antipasto di terra a base di manzo mezcal, mango, maionese e zafferano (20€). Disponibili pure un crudo di mare (46€); ostriche nature o alla brace (Regal Oro, La Perla del Delta o Gillardeau da 8/9€ l’una) con granita lime al the verde; ceviche di tonno rosso caco vaniglia, Aji amarillo (cultivar di peperoncino peruviano) 20€; branzino, jalapeno, mais cancha (tostato) e patata (20€); gambero rosso, uova di aringa, avocado e tamarindo 26€); cavolfiore gratina con erbe e curcuma (16€). Contenuta ma interessante la proposta dei primi, piatti colorati e multietnici, impiattati con grazia: “spaghetti al pomodoro giallo, polpo alla brace e pisco” (18€), risotto al pecorino toscano, salsa teriyaki e tempura di capesante (18€), linguine con fagioli, cozze e ricci di mare (20€), e fusilloni al ragù fumè con castagne arrosto (20€). Assaggiato e apprezzato per incisività ed equilibrio proprio quest’ultimo piatto. I secondi aprono con una monumentale tomahawk steak alla brace (per due persone) con chips di verdure (75€) e filetto di manzo, pakchoy (cavolo cinese), fichi secchi e foie gras (35€), poi galletto alla brace “oltre i confini” (25€). Io sono rimasto sulla proposta ittica apprezzando, oltre all’originale scelta dei contenitori in cui vengono presentati i piatti, un gustoso astice (45€) in mini porzione. C’erano altre due opzioni: ricciola morada, huancana (salsa peruviana), mais choclo (sempre peruviano) e bietole; e pesce ai carboni (35€). Completavano il quadro una selezione di formaggi (12€) e quattro dessert: tarte tatin con gelato alla crema (9€); ricordo della “galatina” lamponi cupeta (10€); meringa al limone con castagne (9€); e sorbetti (8€). Che altro dire? Cucina e cantina a vista, un lounge bar con una virtuosa selezione di cocktail e distillati, musica in sottofondo appropriata. Atmosfera piacevole e personale giovane, preparato e sorridente. Se son rose fioriranno…

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