Con Olivia Newton-John se n’è andato un altro pezzo della nostra adolescenza

Con la scomparsa di Olivia Newton-John se n’è andato un altro pezzo della nostra adolescenza. Chi è stato ragazzino alla fine degli anni Settanta, sa bene cosa sia significato passare dai film Disney a “Grease“. In fondo, anche lì, sostenuta dalla stupefacente colonna sonora dell’omonimo musical e l’aggiunta di alcune bellissime canzoni di John Farrar (“Hopelessely devoted to you“, “You’re the one that I want“) e Barry Gibb dei Bee Gees (il tema “Grease“) trovavamo un principe e una principessa, solo che si chiamavano Danny Zuko (John Travolta) e Sandy Olsson (Olivia Newton-John).

Sebbene tutto questo fosse già stupefacente di suo – e forse chissà… tornerà ad esserlo, dato che nei giorni scorsi nei baretti delle spiagge italiane si riascoltava la colonna sonora del film, tralasciando i tormentoni estivi -, nella carriera di Olivia Newton-John c’è stato anche altro. Per esempio, tanti lavori prodotti dai Gibb e da Jeff Lynne.


Bellissima, però di una bellezza limpida e non maliziosa proprio come la sua “Sandy”, l’australiana Olivia, nipote di un Premio Nobel per la Fisica, sboccia subito come cantante prodotta dal connazionale John Farrar (The Mustangs, The Strangers, The Shadows) ed esordisce al fianco di Cliff Richards (dove rimarrà per lungo tempo). Anche quando  diventa un’attrice famosa – la ricordiamo in “Xanadu” di Robert Greewald, con un cast che annovera Gene Kelly e la colonna sonora della Electric Light Orchestra – compie scelte che non tralasciano l’aspetto musicale. La ritroviamo con John Travolta, di cui resta amica per tutta la vita (e lui le dedica un emozionante addio sui social), nell’adorabile commedia “Due come noi” diretta da John Herzfeld e in altre innumerevoli occasioni e commemorazioni di “Grease“.

Barry Gibb scrive per lei anche “Carried Away” (dall’album di grande successo “Physical” del 1981) mentre Olivia continua ad apprire in special televisivi e a esibirsi sfornando dischi che ospitano grandi artisti, finché le sue condizioni di salute glielo permettono.

Olivia Newton-John combatteva da anni contro un male che, nonostante varie  operazioni e cure, regolarmente tornava. Per questo, negli ultimi due decenni, era anche diventata una infaticabile testimonial per la ricerca contro il cancro.
Madre di un’unica figlia, Chloe, avuta dall’attore italo-americano Matt Lattanzi (suo primo marito, conosciuto sul set di “Xanadu“), Newton-John ha vissuto persino una “truffa amorosa” che somiglia alla trama di un noir: il suo nuovo compagno sparisce in mare durante una battuta di pesca lasciandola disperata. Creduto morto e scomparso in mare, qualche anno dopo si scoprirà che l’uomo vive in Messico e ha simulato la propria  morte per problemi legati al fisco, senza lasciarle neppure un biglietto.  Insomma, per quanto incredibile, anche a una stella come lei è capitato il farabutto di turno, così noi l’abbiamo sentita un po’ più vicina: Olivia, una di noi. Non a caso, la sua  “Sandy” ha contagiato ogni ragazzina (tuttavia ho adorato la “Rizzo” di Stockard Channing) e in quasi due ore di pellicola divorata in una gremitissima sala del Politeama ha impresso nella nostra memoria un sogno indelebile. Di quelli che somigliano all’innocenza della gioventù, sempre più lontana e irripetibile.

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