Cos’è il “blue Monday”: ecco il lunedì di gennaio più triste dell’anno
Trovata commerciale o pseudoscienza? Scopriamo la storia dietro questa strana ricorrenza associata alla fine delle festività natalizie
Segnatevi con attenzione questa data sul calendario: 20 gennaio. Si tratta del “blue Monday”, il lunedì più triste dell’anno, una tradizione che affonda le sue radici esattamente 20 anni fa. Con questo termine, infatti, si indica generalmente il terzo lunedì di gennaio – e dunque tra il 15 e il 21 del mese, anche se in alcuni anni tende a ricadere sul secondo o quarto lunedì dello stesso mese oppure durante l’ultima settimana. Viene considerato il “giorno più triste dell’anno” in quanto secondo una teoria pseudo- scientifica (e dunque senza alcun fondamento teorico), durante il Blue Monday (dove “blue” sta per “triste”, appunto, ma anche per il colore pantone che da sempre è associato alla tristezza) le persone tendono a sentirsi più malinconiche o infelici, e questo perché il cervello – quanto meno a livello inconscio – percepisce la fine delle festività natalizie (e dunque, di una serie di occasioni sociali e di allegria), realizzando che i mesi successivi saranno caratterizzati dalla quasi totale assenza di giorni analoghi.
Utilizzato per la prima volta dalla compagnia Sky Travel come escamotage pubblicitario, l’espressione viene attribuita ad uno psicologo dell’università di Cardiff, Cliff Arnall, il quale creò persino una complessa formula matematica in grado di calcolarne il giorno esatto, sostenendo che il terzo lunedì del primo mese corrisponde al momento con il più alto fattore di depressione dell’anno. Tuttavia, proprio perché le persone sono intristite da questo periodo di transizione, si ritrovano a programmare viaggi in attesa della “bella stagione” – motivo per cui l’agenzia di viaggi britannica Sky Travel sposò questa teoria pseudoscientifica, utilizzandola come claim pubblicitario.
Secondo il concept alla base del “blue Monday”, sono diversi i fattori che contribuiscono alla tristezza di quel dato giorno: oltre alla fine delle festività natalizie, ci sono sia le basse temperature e ore di luce ridotte – e dunque, la necessità di restare confinati in casa, lontani da altre persone; una minore disponibilità economica, dovuta alle numerose spese effettuate durante il periodo di Natale; un aumento di peso, dovuto alle abbuffate delle feste; e infine, il fatto che prima delle prossime vacanze ci sarà da attendere diversi mesi – un aspet-to che genera inevitabilmente ansia e tristezza.
Inutile dire che la comunità scientifica tutta (o quasi) si è schierata contro l’equazione di Arnall, e questo perché tale calcolo matematico sarebbe composto da variabili (condizioni atmosferiche, debito, salario mensile, tempo trascorso dal Natale, tempo trascorso dal fallimento dei buoni propositi del nuovo anno, livelli motivazionali bassi, sensazione di necessità di agire) che, nonostante pertinenti, mancano di fondamenti scientifici. A detta stessa dei ricercatori, infatti, l’equazione formulata da Arnell altro non è che una libera interpretazione del professore, al punto che la stessa Università di Cardiff ha preferito prenderne le distanze. In altre parole, secondo gli esperti misurare la felicità risulta un processo troppo complesso da poter essere semplificato attraverso una formula matematica. Non solo: anche la comunità degli psicologici si è detta contraria nei confronti di questo tentativo di semplificazione del tema della depressione.
Lo sappiamo tutti: la depressione è una malattia e va trattata con grande rispetto e attenzione, senza banalizzare quella che è una patologia molto seria. Per questa ragione, nonostante il “blue Monday” resti una trovata virale che oggi viene utilizzata con lo scopo di esorcizzare quelle che sono le preoccupazioni dell’inizio del nuovo anno, appare necessario ricordare che la felicità (o, ancor più precisamente, la tristezza) non è qualcosa che può essere misurata con tanta facilità.
di Fabrizia Malgieri
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