“Hunger Games” e i suoi antenati


Generazione di mal cresciuti, genitori che hanno gli stessi consumi culturali dei figli, fan delle saghe cinematografiche, adoratori della teen distopia, stanno tornando gli Hunger Games con un prequel “The Ballad of Songbirds and Snakes”, che racconta l’inizio di tutto, i mentori, i tributi, l’arena e che uscirà a novembre del 2023.
Il film è tratto dall’omonimo libro di Suzanne Collins, uscito dieci anni dopo i libri della trilogia originaria, nel 2020, e ha come protagonista il giovane Coriolanus Snow, mentore, del tributo Lucy Gray Baird, cantante gipsy del Distretto 12.

 


Alla regia ci sarà ancora Francis Lawrence, che ha diretto tre titoli della tetralogia di film che hanno allungato a morte messo in scena la storia di Katniss Everdeen e della ribellione.
Con la morte nel cuore, in quanto appartenente a tutte le categorie citate all’inizio, devo ammettere di aver già letto il libro, di conoscere tutta la trama e di aver già visualizzato casting, sviluppo, inquadrature e financo la colonna sonora.
Ma cosa ci interessa veramente di questo fenomeno cinematografico? Quello che ci interessa di tutti i fenomeni cinematografici contemporanei, ovvero la sua derivazione.
É una delle storie che racconto sempre a scuola, a classi di ragazzi credono che “Joker” di Todd Phillips si manifesti dal nulla, o al massimo da un fumetto, perché non sanno chi sia Martin Scorsese, non hanno mai visto “Taxi Driver”, figurarsi “Re per una notte”, e ignorano totalmente l’esistenza di Paul Schrader, che non fa altro che girare stupende variazioni sul tema di “Taxi Driver”, e mettere in scena variazioni di Travis Bickle divorati da senso di colpa in cerca di redenzione.

Sorpresona, neanche gli “Hunger Games” vengono dal nulla, anzi, come tanti altri prodotti cinematografici, sono la versione edulcorata per noi occidentali di quello che (secondo il mercato) siamo in grado di sopportare (oppure ci meritiamo): prima degli “Hunger Games” c’era, ad esempio, quella BOMBA di “Battle Royale” del 2000 di Kinji Fukasaku (ebbene sì, ho letto anche quello) tratto dal romanzo di Koushun Takami(gli orientali ce li edulcorano così tanto che gli americani ci rifanno “Ring” per non farci vedere “Ringu”): è uno dei film giapponesi più famosi della storia del cinema giapponese e non lo conosce nessuno (tralatro è notizia di questi giorni che è stata presentata la versione restaurata al Far East 2022). In “Battle Royale” lo Stato Giapponese, per mantenere l’Ordine tra gli adolescenti, sorteggia una classe a caso e porta tutti su un’isola dove l’unico obiettivo è eliminarsi finché non ne resta soltanto uno. A vegliare sul rispetto delle regole c’è il Professor Kitano (sì proprio lui).

 

Con quel portato di violenza politica e di politica violenta il film fu molto discusso in patria, uscì in sala in due versioni, venne censurato in Germania e restò escluso per anni da altri mercati (come quello americano) “Battle Royale” è uno dei capostipiti del genere “survival”, viene citato da Tarantino, da Edgar Wright, ed è un Grande Padre della serie di film de “La notte del giudizio”, e ovviamente della variazioni sul tema come “Squid Game”.
E quindi, all’idea di vedere la origin story del villain Coriolanus Snow che sto proiettando nella mia testa, un po’ di malinconia mi viene e mi sovvien l’eterno e le morte stagioni e i film orientali dove si muore male per davvero.

 

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