Trent’anni senza Pier Vittorio Tondelli: un’incolmabile mancanza

Tra le lacrime piante in questo 2021, ci sono quelle in memoria di Pier Vittorio Tondelli, scomparso 30 anni fa. Ogni volta che leggo il romanzo di un autore  esordiente, io ripenso a Tondelli. Ogni volta che sento parlare di diritti civili, io ripenso a Tondelli. Ogni volta che ascolto testimonianze di Fede, io ripenso a Tondelli. Ma ripenso a Tondelli anche quando la mente ricorre al 1981, anno in cui a Los Angeles si capì che le persone stavano morendo di Aids, una malattia che ha portato via tanti amici cari e che si è presa pure lui.

Soprattutto, io ripenso a Tondelli ogni volta che ascolto, leggo e scrivo di musica. Ed è per questo motivo che gli dedico “Sette note di Bag”, oggi. Tengo a dire che mi sento  inadeguata, a parlare di Tondelli, perché per me è un’emozione enorme portargli  omaggio. Anni fa, grazie alle Giornate Tondelli e all’amico fiorentino Bruno Casini, sono  stata ospite del Centro di documentazione di Correggio. Ho sfiorato i tasti del personal computer con cui Pier Vittorio lavorara e ho visto le sue opere, tradotte in tantissime  lingue. Ho avuto il grande onore di conoscere la sua famiglia e i suoi amici più cari, tra  cui Willer Masoni, Antonio Spadaro (che a Pier Vittorio ha dedicato un libro  meraviglioso) e l’immenso Fulvio Panzeri, curatore delle opere complete di Tondelli.
Ho percorso le strade che anche lui percorreva, con la sua bicicletta, quando usciva per  vedere i colori del paesaggio. Io penso che la Correggio di Tondelli sia un po’ come la Dublino di James Joyce, entrambi hanno descritto le loro città e le loro opere vivono in ogni angolo.

E poi (“poi” si fa per dire) c’è stata la musica. “Vicky” la amava, ed io per anni ho divorato i suoi pezzi su Rockstar così come i suoi romanzi (li possiedo in varie edizioni e lingue). Nei suoi scritti, in virtù della sua conoscenza del mondo musicale, Pier Vittorio ha anticipato il genere Pulp. E questa sensibilità, unita a una grande curiosità e attenzione verso il mondo giovanile (con “Under 25”, ma anche con le sue critiche musicali e teatrali), io l’ho colta anche nei suoi ultimi scritti, intrisi di spiritualità. Perché tutti siamo corpo ed anima e sono certa che nella musica, Tondelli trovasse la conferma di questa sua solida consapevolezza. Bruno Casini ha curato, molti anni fa, un volume per me prezioso dal titolo “Tondelli e la musica. Colonne sonore per gli anni Ottanta” con una serie di contributi di amici, giornalisti, musicisti, poeti, scrittori e artisti. Di questo libro, mi riprometto un approfondimento più ampio sul quotidiano “Libertà” a dicembre, quando cadrà l’anniversario della scomparsa di Tondelli. Il legame tra musica e scrittura è stato molto presente e forte in tutte le avventure editoriali di Pier Vittorio, che disse: “Io cerco il ritmo, la musica dei miei anni, cerco di avere una frase che si possa cantare in testa… Io faccio musica con le mie parole”. E del resto, non esiste tuttora un libro altrettanto rock come “Altri libertini”.

Così pure, nei suoi articoli, Tondelli associava Gore Vidal ai Bronski Beat, Oscar Wilde agli Smiths, e raccontava le emozioni di quando divenne un rock-reporter dei concerti dei Police e incontrò Leonard Cohen. “Musica come colonna sonora, libri come colonna letteraria”. Che si trattasse di rock o letteratura, di fumetto o di arte, Tondelli cavalcava le espressioni giovanili senza rifiutarle. Abbracciava la contaminazione, aboliva le divisioni, avvicinava gli opposti. Una dote rarissima, alla quale tutti noi dobbiamo continuare a guardare.

La carne è triste, ahimè, e ho letto tutti i libri.
Fuggire, laggiù, fuggire! Io sento uccelli ebbri
d’essere tra l’ignota schiuma ed i cieli!
Niente… terrà questo cuore che già si bagna nel mare,
o notti!… Io partirò…
Ma ascolta, o mio cuore, il canto dei marinai. 

 

 

 

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