Who’s Next, il capolavoro degli Who compie 50 anni

WHO’S NEXT compie 50 anni. Il capolavoro degli Who fu pubblicato il 14 agosto 1971 e ha alle spalle, effettivamente, una storia lunga e frammentata, complessa e dolorosa.
Subito dopo l’enorme successo di TOMMY, il chitarrista e compositore Pete Townshend propone un suo nuovo progetto.  S’intitola  LIFEHOUSE ed è concepito come una sorta di romanzo fantascientifico sulla realtà virtuale che imprigiona un’intera comunità, dove le persone vivono imprigionate dentro ad “elmetti interattivi” e non comunicano più in modo reale (a proposito di preveggenza!).
Tra i protagonisti, c’è il “solito” ragazzo (lo ritroviamo in TOMMY e in QUADROPHENIA) che riscopre e vive attraverso la musica rock, ma anche un personaggio alter-ego di Townshend.
Per il suo progetto, Pete compone canzoni per un doppio album, pensando a un  certo punto di realizzare un radiodramma. Poi, nella primavera del 1971, gli Who si trasferiscono allo Young Vic Theatre di Londra per elaborare l’idea di una  sceneggiatura cinematografica “di note rock e filosofie orientali”.
Ma si riscontrano difficoltà: il successo della prima opera rock, successivamente trasformata in film da Ken Russell, distrae il manager Kit Lambert, che si trasferisce a vivere tra i lussi newyorkesi e precipita nel tunnel dell’eroina. LIFEHOUSE viene considerato un progetto “troppo confuso e ambizioso”. Seguirà un fortissimo

esaurimento nervoso di Pete Townshend, nonostante WHO’S NEXT (che contiene appunto brani pensati per LIFEHOUSE) esca con alcune canzoni che, nel loro insieme, riecheggiano purezza e meraviglie. La perfezione abita il disco, in senso musicale e in senso lirico. Gli Who sono al loro apice, ma hanno dalla loro qualcosa che altri non hanno: un livello emotivo pazzesco e contagioso.
Le sessioni fotografiche per la copertina sono pittoresche e iconiche: il fotografo Ethan Russell scatta alcune immagini in cui gli Who sembrano urinare su un muro che si erge sopra a una montagnola di scorie. L’idea la dobbiamo al bassista John Entwistle e al batterista Keith Moon, ispirati dal film 2001: ODISSEA NELLO SPAZIO di Stanley Kubrick.
Scrive Billy Walker sulla rivista “Sounds”, a proposito dell’album: WHO’S NEXT è un disco superbo. Tutti quelli che in passato non hanno coltivato la musica degli Who perché li hanno identificati come un gruppo di rocker rabbiosi, con il chitarrista che sfascia la chitarra ed il batterista che distrugge la batteria durante gli show, dovranno ricredersi e darsi la possibilità di conoscere i veri Who ascoltando quest’album”.
Sottoscrivo ogni parola.

WHO’S NEXT attacca con Baba O’Riley, uno dei masterpiece degli Who, che travolge con impeto riuscendo in pochi istanti a focalizzare la potenza di tutte le canzoni del  disco. La voce di Roger Daltrey è robusta, sa graffiare pur essendo rotonda e colma di armonici. L’Intro inconfondibile è data da una combinazione di date (quelle relative a Meher Baba, che nel frattempo è divenuto un padre spirituale per Townshend) in un metodo tecnologico coniato dall’amico di Pete, Lawrence Ball, al sintetizzatore. Si omaggia anche il compositore americano Terry Riley.
Quando, nel dicembre 1999, Townshend lancia finalmente il suo progetto solista LIFEHOUSE con un radiodramma, un prezioso cofanetto, due concerti straordinari con orchestra e un successivo Metodo, si scopre che un altro brano di apertura s’intitola Teenage Wasteland, dal testo di “Baba”.

Molto spesso Bargain, il secondo brano dell’album, è inteso come una struggente canzone d’amore. Lo è, ma non parla di una coppia. E’ la storia di un uomo pronto ad  abbandonare tutto ciò che possiede per essere il più possibile accanto a Dio. Forse nessuna preghiera puramente rock era stata, sino a quel momento, partorita.

Love Ain’t For Keeping è un altro dei brani composti per LIFEHOUSE, originariamente destinato al protagonista Ray (alter ego di Townshend anche nel suo progetto solista PSYCHODERELICT). E’ una canzone ottimista, giocata su toni  tipicamente anni Settanta. L’assolo blues di Townshend è la ciliegina sulla torta. Steve Grantley e Alan G. Parker nel libro THE WHO BY NUMBERS percepiscono l’influenza dei Grateful Dead di WORKINGMAN’S DEAD.

“Siamo tutti bravi a parlare delle regole dell’amore. Lo siamo ancora di più a fare dei bei capitomboli, quando ci innamoriamo” afferma Townshend. “Non sono un tipo da lieto fine. Eppure ho scritto Love Ain’t For Keeping come monito di incoraggiamento all’amore. Un po’ come il mio brano solista Let My Love Open The Door, che però è un altro mondo”.

Anche il mitico bassista John Entwistle torna a comporre, su richiesta. Sebbene
My Wife sia considerata un must, il risultato non lo soddisfa pienamente:
“Per contratto, dovevo mettere una mia canzone nell’album ma avrei preferito tenere My Wife per il mio album solista” dichiarò Entwistle, che infatti utilizzò un’altra versione del brano nel suo disco solista del 1973, RIGOR MORTIS SETS IN. Nonostante questo, My Wife (sarcastica autobiografia di un marito) “stacca” perfettamente e fa da collante perfetto per la successiva canzone dell’album.

ll lato A si chiude infatti con un’altra stilettata nell’anima, The Song Is Over.  Musicalmente, è una delle canzoni più “curate”: vi basti prestare attenzione ai cori, alla ricchezza e alla dinamicità degli arrangiamenti. Cosa più importante, la citazione conclusiva da Pure And Easy, canzone portante di LIFEHOUSE, considerata da Townshend tra le più significative del suo intero Songbook.

Le armonie malinconiche del pianoforte di Nicky Hopkins introducono il lato B di

WHO’S NEXT: Getting In Tune è come avvicinarsi a un rigagnolo che poi assume la potenza sonora di una cascata. Nella strofa finale, la doppia voce di Pete enfatizza la tonalità minore, mischiandosi con la timbrica baritonale-tenorile di Roger. Qualcuno, in prima persona, esprime la sua stanchezza nei confronti della superficialità che lo circonda ed è in cerca di qualcosa di superiore.

Going Mobile è un inno alla vita “on the road”, che anche gli Who continuano a fare, talvolta tenendo tre concerti al giorno, senza pause, per molti mesi all’anno in giro per il mondo, lontano da casa. Il sound anticipa quello che ritroveremo più tardi in

THE WHO BY NUMBERS (album ingiustamente sottovalutato). La ritmica è minimalista mentre Pete utilizza nuovamente il sintetizzatore, che è indubbiamente lo strumento in primo piano nell’intero WHO’S NEXT, anche se qui svetta il suo assolo di chitarra.

E’ difficile pensare a un brano più intimamente autobiografico, così come è difficile pensare a una ballata puramente rock, senza pensare a Behind Blue Eyes.
Mi fermo qui ma solo perché, se mi state leggendo, dovete andarvela subito a riascoltare!

E arriviamo a un altro caposaldo della musica rock, il gran finale. Per Won’t Get Fooled Again, cedo la parola al suo autore:
“Ho composto Won’t Get Fooled Again mentre ero circondato dalla gente della comunità dell’Eel Pie Island. Le persone lì conducevano un’esistenza opposta alla mia. C’era una specie di storia d’amore tra me e loro. Io venivo considerato perché ero una sorta di leader in un gruppo rock, e a mia volta consideravo loro dei leader perché  capivo cosa stavano combinando. Ci fu un tempo in cui la comunità era molto attiva e la situazione era molto eccitante filosoficamente e spiritualmente, poi arrivarono gli acidi e tutto ciò che portarono fu una serie di conversazioni tra psicotici. Così pensai: ‘Oh, fuck!’. L’ho chiamata Sindrome di Glastonbury”.

“Ho suonato Won’t Get Fooled Again in mille modi diversi – prosegue Townshend -. E’ un pezzo polemico. La canzone rappresenta l’idea del nostro gridare con forza che non saremmo stati abbindolati dai politici. In un certo senso, è questo l’argomento principale del brano. Ma è anche un pezzo sul prendersi in giro e un tentativo di guardarsi in qualche modo dal di fuori. Bisogna non pensare più a se stessi, non solo nella musica rock, ma anche in una partita di football o a una festa oppure mentre si fa l’amore con qualcuno. Qualunque sia la circostanza, bisogna  lasciarsi andare dal proprio Sé. Devi dimenticarti chi sei e ciò che ti frena.
Won’t Get Fooled Again parla di quelli che cercano di impedirtelo. Tentano di impedirti di perderti. Stai dove sei! Sii te stesso, conosciti! Vivi nella tua M, vai in analisi e restaci! Alcuni di noi hanno davvero bisogno di fare psicoterapia, e io posso assicurarlo! Ma non è necessaria per sopravvivere. La cosa interessante di quando gli Who hanno suonato un mio pezzo è che il messaggio iniziale del pezzo cambia. La differenza tra i vari caratteri dei componenti giocano un ruolo e la canzone prende una nuova forma e acquista un significato ancora più importante. Ogni

volta che la canto, comunque, la sento come qualcosa che ho scritto io, proprio io”.

Won’t Get Fooled Again è stata adottata dagli operai inglesi come una sorta di Inno nelle loro manifestazioni per rivendicare i propri diritti sindacali. “Una cosa che mi riempie di orgoglio” dice ancora oggi Pete.

Non potrebbe essere altrimenti, visto il motto conclusivo del brano.

Meet the new boss
Same as the old boss
Incontrare il nuovo padrone

E’ come incontrare quello vecchio

Il lungo grido finale di Roger è la cornice perfetta, anche alla luce dei fatti di cronaca odierna. Qui sta l’eternità di WHO’S NEXT, che va oltre all’immenso lavoro del prooducer Glyn Johns: il suo grande cuore arrabbiato contro tutte le ingiuste intime e sociali, alla ricerca di una visione superiore del mondo e della vita.

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