Barbara Belzini: «In "Onoralamadre" la fragilità di una figura in crisi e invadente»

Nel volume edito da Low, curato dalla giornalista e critica cinematografica di "Libertà" con autori vari

Eleonora Bagarotti
Eleonora Bagarotti
|1 mese fa
La giornalista e critica cinematografica di "Libertà" Barbara Belzini tiene tra le mani il volume di "Onoralamadre" edito da Low
La giornalista e critica cinematografica di "Libertà" Barbara Belzini tiene tra le mani il volume di "Onoralamadre" edito da Low
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Barbara Belzini, giornalista e critica cinematografica di "Libertà", ha da poco pubblicato un volume da lei curato per le edizioni Low, con vari autori: "Onoralamadre - Storie dal Paese ricco di madri e povero di figli" (156 pp, 16 euro).
Com’è nata l’idea del libro "Onoralamadre"?
«Nasce da un sentire meno aderente a quella che è la narrazione dominante, patriottica, della madre come figura di cura, pronta al sacrificio, piena di premure. Queste madri sono corpi ingombranti, invasi e invadenti, che esistono e devono essere visti e raccontati per rispondere a un bisogno di immagini altre, per superare la solitudine e il senso di colpa di chiunque abbia un sentimento diverso nei confronti di una parola che ogni volta che viene pronunciata trascina con sé milioni di significati. La voglia di esplorare il lato oscuro della madre mi girava in testa da tempo e l’ho proposta a Low, che ha accettato con coraggio di pubblicare un libro disturbante, molesto. Onoralamadre, tutto attaccato, è una cantilena ossessiva».
Il volume raccoglie diversi contributi: si è trattato di un libro che, strada facendo, andava strutturandosi e avete dovuto modificare il percorso iniziale?
«La selezione è stata molto precisa: ho cercato prima di tutto persone amiche che potessero condividere la proposta di infilarsi in un percorso scomodo: scrivere della madre non può prescindere da un confronto con quello che si conosce della madre che abbiamo avuto, della madre che a volte siamo, della madre che non saremo mai. Il secondo criterio è stato scegliere autrici e autori che avessero già una propria personalità letteraria: la risposta è stata entusiasta, anche da parte di chi per motivi propri ha poi deciso di non partecipare, e questo mi ha confermato che questo libro avesse una sua urgenza e la possibilità di trovare un pubblico».
Quali sono state le sorprese più belle, durante la raccolta del materiale?
«Mi ha sorpreso tutto, ho amato tutto quello che ho letto: i racconti mi hanno permesso di tuffarmi in un enorme catartico esorcismo collettivo, spiazzandomi costantemente. Pensavo di aver mappato nella mia testa un catalogo immenso di possibili orrori e errori materni, e sbagliavo. Non c’è fine al male che una madre può portare con sé. Emerge dal libro una grande madre-mostro, dal corpo soffocante e dalla voce stridente, che ci ha formato e costruito e insegnato cosa pensare, e dalla quale fatichiamo a liberarci. Emerge e urla, sgrida, sussurra, insinua: le parole della madre che rimangono scolpite a lettere di fuoco nella nostra testa volano tra le pagine del libro in maniera scomposta, oltrepassano la tradizionale grammatica editoriale, si posano davanti a noi in tante forme grafiche diverse, a volte con le maiuscole decapitate».
Nel libro vi sono anche i contributi di due piacentine (Bersani e Poli). Di cosa parlano, in particolare?
«Sono due racconti opposti e pieni di grazia: "L’estinzione degli elefanti" di Chiara Bersani, che apre la raccolta, è una storia che trova parole nuove per mettere in scena (non a caso è il lavoro di una performer teatrale) una riflessione potente sulla maternità complicata, desiderata e difficile per un corpo non conforme, che si batte con tutto il cuore contro i numeri della scienza. "Di(-)etologia" di Stella Poli ha una temperatura completamente diversa, ma scava in profondità con il bisturi della ricercatrice dentro una figura di madre che conosciamo bene, la madre-metro che misura i centimetri, che guarda le taglie, che nutre di ansie e di controllo».
Non solo donne: di queste "madri fragili" parlano anche alcuni uomini.
«È stata una scelta deliberata: non volevo che il libro diventasse un cliché, etichettato come un prodotto per donne scritto da donne che parla solo alle donne. E infatti i racconti di Ivano Porpora, Guido Casamichiela e Carlo Martello hanno restituito sguardi diversi, a loro volta inquietanti, con tagli opposti, dall’ironia al dramma, che non mi aspettavo».
Il libro è stato presentato con successo al Pisa Book Festival, sono previste altre presentazioni?
«Sicuramente: intanto ieri c’è stata quella a Milano al Mondadori Bookstore Barona e con le autrici e gli autori, che compongono una mappa che va da Torino a Roma, stiamo preparando molti eventi in diverse città. Arriveremo anche a Piacenza, con una sorpresa».