Claudio e Piero, mesi in ospedale rischiando la vita: “Sì al green pass”

27 Luglio 2021 05:12

Per il Covid hanno passato tre mesi in ospedale. Ne sono usciti, ma a distanza di oltre un anno i segni della malattia li portano ancora addosso. È anche per questo che per Claudio Arzani e Piero Perazzoli il green pass rappresenta una garanzia irrinunciabile. E alla domanda se frequenterebbero un’attività o un bar o un ristorante in cui titolari o camerieri sono non vaccinati loro rispondono senza incertezze: “No”.

“Per me il green pass è una garanzia di tutela della salute per tutti – spiega Arzani – capisco che qualche problema organizzativo c’è perché lo vivo anche io: sono stato dimesso dall’ospedale il 17 giugno 2020 dopo che ero stato ricoverato il 22 marzo. In quanto guarito dal Covid, ho fatto una dose di vaccino Pfizer il 19 aprile: una sola perché mi è stato detto che la seconda non era necessaria. Però in questo modo non ho il green pass: ho fatto richiesta al medico per avere il certificato di guarigione che è equivalente”.

La pensa allo stesso modo anche Perazzoli, 64 anni, ricoverato all’inizio di marzo dell’anno scorso dopo quindici giorni di Covid a casa: “Sono stato dimesso il 25 maggio dopo tre mesi di ospedale – spiega – ero più morto che vivo e anche se da allora è passato un anno, i segni della malattia me li porto addosso e alcuni li porterò addosso finché vivo. Quando sento dire cose che non hanno nessuna base scientifica, quando sento parlare di limitazioni insormontabili penso a quello che ho vissuto: si parla del bene del cittadino, per me il bene del cittadino è non dover stare ricoverato tre mesi, non passare quell’inferno che ho passato io”.

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