La storia di Arnaldo Ponzini, il falegname 92enne di via Maruffi. “Qui il mio rifugio”

29 Marzo 2022 05:37

Il suo laboratorio sotto casa in via Maruffi è un’osteria dell’arte. E Arnaldo Ponzini, falegname nato in una culla di trucioli che lui chiama in dialetto “purpaiòn”, crea qui un mondo un po’ più giusto, tra ottantasei scalpelli e scalpellini, la carta vetrata, l’odore di polvere di legno che fa grattare la gola a tutti. Meno che a lui.

Ha novantadue anni e guida ancora Arnaldo, il bel nome di una volta che non sa perché gli venne dato alla nascita, il 20 agosto 1930 in via San Bartolomeo, figlio del marangòn Alessandro, nipote del marangòn Maurizio. Suo figlio Stefano, anche lui ebanista, ha dovuto chiudere la falegnameria a Rottofreno, alla Cattagnina, ha gli occhi lucidi quando dice di averlo dovuto fare, colpa del mercato usa e getta, del non saper dare valore alle cose, nel non saper riconoscere un olmo da un compensato in un grande magazzino.

Arnaldo però di farsi da parte non ne ha mai voluto sapere, spera che i giovani un giorno tornino ad appassionarsi a chi crea vita dal solo legno, “questo lavoro è la mia malattia, ho portato tutto a casa, qui, nel mio rifugio”, ammette. In via Maruffi Arnaldo è arrivato nel 1951, dopo aver vissuto in via Caccialupo, della guerra ricorda tutto, soprattutto fame e miseria. La più grande fortuna di Arnaldo è stata l’aver incontrato la sua Irene: “Abitava in via Trebbiola. Vede, io ricordo ancora il giorno e l’ora in cui le ho chiesto di sposarmi. Il 19 novembre 1950, alle ore 10, nei chiostri del Duomo. Ci siamo detti sì per sempre poi in San Savino, il 29 agosto 1954, poi da quel giorno non siamo mai stati separati, ricordo solo qualche giorno di forzata lontananza”. Irene è stata portata via dal Covid, nel giorno più buio dell’epidemia, il 23 marzo 2020, una data che nessuno dimentica. Quel giorno il bollettino tragico regionale annunciò 26 morti.

© Copyright 2024 Editoriale Libertà