Pubblica Sant’Agata, sentiti 10 testimoni. “Le firme sui rimborsi non sono nostre”

22 Gennaio 2025 05:30

Alcuni testimoni in coda ieri pronti per essere ascoltati in tribunale

Cinque ore filate senza pausa e dieci testimoni, ascoltati uno dietro l’altro dai giudici. A partire soprattutto dai loro ricordi è entrato così ieri nel vivo il processo nei confronti di Katia Sartori e CristianSorrentino, presidente e vicepresidente della Pubblica Sant’Agata di Rivergaro, che oggi non esiste più, travolta dalle pesanti accuse dell’ottobre 2021.

Il pubblico ministero Matteo Centini, elencando acquisti di tablet, pranzi da McDonald’s, prodotti solari, notti in motel, e altro ancora, ha chiesto subito agli ex volontari e dipendenti chiamati in via del Consiglio se fossero stati loro quegli acquisti: «Ha mai visto questa firma, su questo rimborso spese della Pubblica? È la sua? Perché c’è il suo nome lì…», ha chiesto. «No, questa non è mia». «No, non è mia». «No, non la riconosco, non ho mai visto quelle cose. Mai acquistate», sono le risposte davanti ai giudici Stefano Brusati, presidente del Tribunale, Anna Freschi e Federico Baita.

A parlare per primo, è stato il maresciallo della Guardia di finanza, che ha risposto alle domande del pm Centini e degli avvocati della difesa, Roberto Ghini e Elio Magno.

Il testimone che doveva essere chiave – e si è presentato in aula – è stato poi proprio il denunciante del 2020: era stato lui a sollevare alcune anomalie nella gestione Sartori della Pubblica, ma ieri le sue risposte sono rimaste piuttosto evasive: tanti i “Non ricordo”, a quasi cinque anni di distanza.

La linea della difesa insiste, sostanzialmente, su due punti, come emerge dalle domande: a pesare sulla situazione della Pubblica sarebbero stati soprattutto i ritardi nei pagamenti da parte dell’Ausl e la situazione emergenziale del Covid, che portò i volontari a “vivere” nella sede. Ma sui conti, i testimoni sottolineano di non aver avuto informazioni chiare: «Era la presidente a tenere tutto. Alla sera, portava con sé un borsello per evitare venissero rubati i soldi».

Ed è in quel borsello che, come ripercorso dalla Guardia di finanza che ha evidenziato il disavanzo riscontrato dal commissario liquidatore pari a 126mila euro, sono state trovate carte prepagate con quegli acquisti tramite giroconto di Sartori, al tempo inoccupata.

Secondo l’accusa quelle spese passate al setaccio e relative al biennio 2018-2020 (tra Amazon, negozi di intimo, negozi per bambini e altro) non c’entrerebbero nulla con la Pubblica. Per la difesa, invece, tutti erano impegnati nel 2020 a cercare ausili e dispositivi di protezione, anche su Amazon. Ieri è stata sentita anche la commessa di una profumeria: le autorità sono infatti risalite agli acquisti tramite la “carta fedeltà” di Sartori. Che a margine dell’udienza ha commentato ribadendo la sua estraneità alle accuse: “Sono serenissima”, ha detto.

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