I cicloni adesso minacciano anche l’Italia, colpa del riscaldamento globale

15 Maggio 2023 14:00

La settimana appena iniziata sarà instabile e perturbata, da Nord a Sud: una fase di acuto maltempo prende origine da una vasta area di bassa pressione presente sull’Europa, che per tutta la settimana continuerà a pilotare masse d’aria di origine polare verso il bacino del Mediterraneo.
Le correnti fredde in ingresso andranno ad alimentare una ciclogenesi esplosiva sul mar Tirreno. Non è un termine inventato, bensì una precisa definizione meteorologica: un ciclone bomba (o, appunto, ciclogenesi esplosiva) avviene quando un’area di bassa pressione posta alle medie latitudini vede la pressione atmosferica scendere nel suo minimo barico ad una velocità di almeno un millibar (hPa) all’ora per almeno 24 ore. Nella pratica questo si traduce in precipitazioni abbondanti, anche sotto forma di nubifragio e violente raffiche di vento.
Il rischio collegato a queste configurazioni è che si verifichino eventi meteo estremi come nubifragi e, nei casi più eccezionali, le cosiddette “alluvioni lampo” che solitamente interessano fasce ristrette di territorio, scaricando al suolo ingenti quantità d’acqua.
Secondo gli ultimi aggiornamenti saranno maggiormente a rischio le regioni del Nord Est e quelle tirreniche del Centro Sud dove localmente potrebbe cadere in pochissimo tempo l’equivalente cioè delle precipitazioni attese in oltre 2 mesi.
In ultimo, tornerà anche a cadere la neve sulle nostre montagne: complice le temperature tutt’altro che calde: i fiocchi bianchi potrebbero scendere fin verso i 1400/1500 metri di quota sulle Alpi centro orientali. Un evento di tutto rispetto per essere ormai a metà maggio e che non capita da alcuni anni.

IL CAMBIAMENTO CLIMAICO LI HA RESI PIÙ DISTRUTTIVI
Quando si parla di cicloni, ci si riferisce generalmente ai fenomeni che accadono lontano da noi. Il riscaldamento globale non ne ha aumentata la frequenza, ma li ha resi più intensi e distruttivi.
Il loro nome cambia a seconda della regione in cui si evolvono. Si parla di ciclone (o ciclone tropicale) nell’Oceano Indiano e nel Pacifico meridionale, di uragano nell’Atlantico settentrionale e nel Pacifico nord-orientale e di tifone nel Pacifico nord-occidentale.
Questi grandi fenomeni – larghi centinaia di chilometri – sono molto pericolosi anche perché possono attraversare grandi distanze. Sono classificati in base all’intensità dei venti: depressione tropicale (meno di 63 km/h), tempesta tropicale (tra 63 e 117 km/h) e ciclone (oltre 117 km/h). I meteorologi li classificano in base alla loro intensità secondo scale che differiscono a seconda delle regioni. Per gli uragani, la scala Saffir-Simpson ha, ad esempio, 5 livelli.
“Il numero complessivo di cicloni tropicali non è cambiato a livello globale, ma il cambiamento climatico ha aumentato il verificarsi delle tempeste più intense e distruttive”, riassume il World Weather Attribution (Wwa), un gruppo di scienziati che cerca di stabilire il collegamento tra certi eventi estremi e il riscaldamento globale.
E se non è cambiato il numero, quelli più violenti (categorie da 3 a 5 della scala Saffir-Simpson) che causano la maggior parte dei danni, stanno diventando più frequenti. I cambiamenti climatici causati dall’attività umana influenzano da un lato le precipitazioni dei cicloni, rafforzate dall’aumento delle temperature atmosferiche. “Un aumento di tre gradi della temperatura dell’aria è potenzialmente un aumento del 20% della quantità di pioggia generata da un episodio di uragano”, dice Emmanuel Cloppet.
Tuttavia, sono queste piogge intense che causano inondazioni e smottamenti a volte mortali, come nel caso del ciclone Freddy, che ha ucciso centinaia di persone in Malawi e Mozambico all’inizio del 2023. Il riscaldamento degli oceani “alimenta” anche i cicloni tropicali, che possono così diventare più violenti.
“Il cambiamento climatico crea quindi le condizioni in cui possono formarsi tempeste più potenti, intensificarsi rapidamente e persistere fino a raggiungere la terraferma, trasportando più acqua”, concludono gli esperti del Wwa.
I cicloni generano mareggiate molto forti che possono causare inondazioni costiere. E ora le mareggiate stanno aumentando a causa dell’innalzamento del livello del mare a causa del cambiamento climatico. Inoltre, il riscaldamento globale rischia di allargare la zona favorevole alla formazione di cicloni, che potrebbero così interessare nuove regioni.
“È come se i tropici si stessero allargando: nei decenni a venire, i cicloni troveranno condizioni favorevoli in termini di temperatura del mare su aree più ampie di oggi”, afferma Emmanuel Cloppet. “Le aree che sono molto poco colpite oggi potrebbero esserlo molto di più domani”, avverte.

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