Allarme per i danni delle nanoplastiche nell’acqua: “Potabile non significa pura”

18 Marzo 2024 05:00

Uno studio condotto dall’università australiana di Newcastle in collaborazione con il Wwf ha rivelato un dato che potrebbe fare sorridere, se non svelasse una pericolosa realtà: ogni settimana, chi vive nelle zone maggiormente industrializzate ingerisce in media fino a duemila minuscoli frammenti di plastica. Significa circa 5 grammi, come se si mangiasse un’intera carta di credito.
La maggior parte delle particelle è sotto i 5 millimetri e viene assunta con l’acqua che si beve sia dalla bottiglia, sia dal rubinetto. La microplastica è, infatti, presente nell’acqua di tutto il mondo, partendo da quella di superficie per finire nelle falde. Frutti di mare, birra e sale sono, invece, gli alimentari con i più alti livelli registrati.
Si è così giunti a un paradosso drammatico: nei Paesi poveri almeno due miliardi di persone non hanno acqua da bere e 3,6 miliardi di persone – quasi la metà della popolazione mondiale – utilizza servizi igienici che lasciano i rifiuti umani non trattati. Nelle zone più ricche, invece, l’acqua viene sprecata, spesso persa per le falle nella rete di distribuzione e, soprattutto, comincia ad essere meno sicura.
“Dobbiamo chiarire un concetto – spiega Alessandro De Santis, titolare di Decalacque, esperto nel settore trattamento acque – che è fondamentale: non è assolutamente scontato che l’acqua definita “potabile” sia automaticamente anche “pura”, vale a dire priva di elementi che possano creare problemi alla salute. E il caso delle micro e nanoplastiche è quello che al momento sta facendo più discutere”.
Per la prima volta, infatti, il danno causato dalle micro e nanoplastiche sulla salute umana è stato provato scientificamente, grazie a una ricerca italiana che ha individuato la presenza delle plastiche nella placche aterosclerotiche delle arterie.
Gravissimi gli effetti: la percentuale di rischio di infarto e ictus è risultata più che raddoppiata.
Lo studio, ideato e coordinato dall’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”, è pubblicato su The New England Journal of Medicine che, in un editoriale, definisce la scoperta “rivoluzionaria”. Hanno collaborato la Harvard Medical School di Boston, l’Ircss Multimedica di Milano, le università di Ancona, della Sapienza di Roma e di Salerno e l’Ircss-Inrca di Ancona.

Alessandro De Santis

Le microplastiche erano già state individuate in vari organi e tessuti umani, dalla placenta al latte materno, dal fegato ai polmoni, compresi i tessuti cardiaci.
Lo studio italiano rivela, però, per la prima volta la loro presenza perfino nelle placche aterosclerotiche, depositi di grasso nelle arterie pericolosi per il cuore, e fornisce soprattutto prova inedita della loro pericolosità. I dati raccolti mostrano infatti che le placche aterosclerotiche “da inquinamento” sono più infiammate, quindi più friabili ed esposte a rischio di rottura con un aumento di oltre due volte del rischio di infarti, ictus e mortalità.
“Quante volte ci è stato detto – aggiunge DeSantis – che dobbiamo bere almeno due litri di acqua al giorno? All’inconfutabile importanza di questo consiglio, però, mi preme aggiungerne un secondo: chiediamoci cosa stiamo realmente immettendo nel nostro organismo quando beviamo. La medesima attenzione che dedichiamo al cibo, cercando prodotti del territorio, a Km 0, biologici, coltivati o allevati in modo sostenibile, senza utilizzo di fertilizzanti o pesticidi, dobbiamo prestarla anche su ciò che beviamo. Noi lo facciamo con i depuratori a osmosi inversa, impianti che trattano l’acqua del rubinetto, rimuovendo sostanze patogene e contaminanti quali batteri, virus, metalli pesanti e tante altre. Aggiungendo anche i benefici per l’ambiente legati al minor utilizzo della plastica per le bottiglie e alla eliminazione del traffico per il loro trasporto”.

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