Nei chip la speranza per chi è colpito da paralisi o epilessia, ma Neuralink non c’entra

28 Aprile 2024 05:00

Il primo “terremoto” nel campo della tecnologia applicabile alle neuroscienze è arrivato qualche mese fa, quando Neuralink, l’azienda di Elon Musk, che ha annunciato di avere impiantato per la prima volta in un essere umano il suo chip Telepathy.
Il mondo che si è aperto, seppure in maniera controversa come tutto ciò che riguarda il contestato genio americano, ha però delle potenzialità enormi.

I primi a poter beneficiare dei chip impiantabili sono coloro che non sono in grado di fare alcun movimento perché paraplegici o colpiti da malattie neurodegenerative, come la sclerosi multipla.

tecnologia pronta tra 6-7 anni

“L’obiettivo a medio termine è avere una tecnologia per pazienti con patologie motorie e poterla validare e sviluppare nei prossimi 6 o 7 anni è una prospettiva reale“, ha spiegato Luca Berdondini, esperto di Microtecnologia per la neuroelettronica all’Istituto Italiano di Tecnologia. “Significherebbe – osserva – poter dire ridare la capacità motoria a chi l’ha persa a causa di traumi o di patologie”.

il progetto corticale

Il progetto che coordina, chiamato Corticale, apre la via a una nuova generazione di dispositivi impiantabili con oltre mille elettrodi, ossia più complesso rispetto al chip di Musk e, a differenza di Telepathy, completamente integrato.
Più in là nel tempo, i chip impiantabili potrebbero essere utilizzati anche per trattare altri problemi, per esempio l’epilessia: “Si potrà raggiungere la capacità di modulare la capacità cerebrale attraverso l’elettroceutica, ossia con dispositivi che permettono di prevenire gli attacchi epilettici, senza dover assumere farmaci”, dice l’esperto.
Un altro possibile bersaglio è la depressione farmaco-resistente.

no agli usi extra clinici

Ma Berdondini mette in guardia: “Non è chiaro dove Musk voglia portare Neuralink. Non si escludono applicazioni sulle persone sane, ad esempio per la domotica o per altre tecnologie. Quello che è chiaro è che negli usi al di fuori del contesto clinico si apre un mondo difficile”.

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