Gli indispensabili antagonisti: eterni sconfitti, ma non perdenti

Anche se ogni loro impresa è una disfatta, i primi supercriminali si sono fatti posto nella storia del fumetto

Alessandro Sisti
|3 settimane fa
Lex Luthor, la nemesi di Superman - © Libertà/DC Comics
Lex Luthor, la nemesi di Superman - © Libertà/DC Comics
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Vorreste un mondo in cui tutti sono brave persone? Probabilmente sì, però non nella narrativa e tantomeno nei fumetti, dove i malvagi sono fondamentali. Senza Kandrax né il professor Hellingen Zagor potrebbe andarsene per funghi nella foresta di Darkwood e se Gambadilegno e Macchia Nera si ravvedessero, le avventure di Topolino consisterebbero nell’accompagnare Minni per mercatini. Niente di emozionante, perché il vero motore del racconto non sono i buoni bensì i cattivi, generatori del conflitto che spinge l’eroe a entrare in scena per giustificate ragioni – tipo recuperare le caramelle trafugate o salvare l’universo dall’annientamento – evitandogli di fare la figura dell’impiccione che scende in campo per avere qualcosa di cui vantarsi con gli amici. Occorre un avversario costruito a dovere per dare al paladino di turno sufficiente filo da torcere e permettergli di sfoggiare il proprio valore, tant’è che il romanziere Henry James dichiarò «tutto ciò che fa l’antagonista illumina il protagonista». Chi si appassionerebbe a “Superman contro un tale che ha parcheggiato in divieto di sosta”?
1940, arriva il Joker ed è destinato a restare
1940, arriva il Joker ed è destinato a restare
Non cito a caso l’Uomo d’Acciaio, perché appunto lui e il suo collega Batman mi offrono lo spunto per questa puntata dell’Officina. O meglio i loro nemici storici, Luthor e il Joker, che essendo entrambi apparsi per la prima volta nel 1940 hanno sulla fedina penale ottantacinque anni di contorte malefatte. L’ennesimo anniversario è casuale, poiché ad attirare la mia attenzione è stata piuttosto l’evoluzione che i due hanno subito nell’arco delle rispettive carriere delittuose. Lex Luthor nasce dalla macchina da scrivere di Jerry Siegel e dalle matite di Joe Shuster, i creatori di Superman, e il suo nome completo, rivelato dopo decenni di piani diabolici, è Alexander (di cui “Lex” è presumibilmente il diminutivo) Joseph Luthor. In origine è il classico scienziato pazzo senza sfumature, che ne combina di tutti i colori… perché è fuori di testa, cos’altro dovrebbe fare? Se suona semplicistico va ricordato che il suo esordio risale ai tempi in cui i caratteri negativi dei fumetti – e della narrativa popolare in genere – erano perfidi e crudeli in quanto crudeli e perfidi, e tanto bastava. Per contro le regole della scrittura creativa pretendono una motivazione, senza la quale le scelte di un personaggio non sono verosimili. Quella che spinge i protagonisti a entrare in azione è a cura degli antagonisti, che quindi devono averne di valide per comportarsi male e così, dopo un ventennio passato dal pubblico a domandarsi cos’avesse fatto di Luthor un tale mostro, Siegel gliene escogita una. In gioventù la nemesi del primo supereroe era un bravo ragazzo, ancorché già geniale, ma nel corso di un esperimento produsse un incidente di laboratorio con fumo e fiamme. Al salvataggio ecco arrivare Superboy che, ancora inesperto, commise un errorino rendendo Luthor completamente calvo. A questo punto le opzioni per il malcapitato potevano essere comperarsi una parrucca, oppure – in quanto genio – inventare una lozione per farsi ricrescere le chiome, sennonché il Nostro scelse la terza: pareggiare i conti facendo fuori il suo salvatore. Ha senso? Per un cervellone neo-squilibrato evidentemente sì, nonché – per lunghissimo tempo – per i lettori, che tuttavia nei decenni si sono fatti più esigenti e smaliziati. La calvizie non bastava più, dunque Luthor decide d’essere l’unico intelletto abbastanza sterminato da guidare il mondo verso luminose e progressive sorti, che l’umanità non raggiungerà se continua a impigrirsi contando su Superman per risolvere qualsiasi problema. Daccapo perciò la soluzione è quella di togliere di mezzo il super-ostacolo, seppure per ragioni a modo loro filantropiche.
Cesar Romero nei panni del Joker televisivo del 1966
Cesar Romero nei panni del Joker televisivo del 1966
Cambiano le motivazioni, la follia resta, metodica e organizzata ma non meno scatenata di quella del Joker, creato dallo sceneggiatore Bob Kane e dall’artista Bill Finger, inventori di Batman, con Jerry Robinson, primo discepolo di Finger nel disegnare le imprese dell’uomo pipistrello. Arcicriminale, omicida seriale e quant’altro di peggio si voglia attribuirgli, il clown delirante rappresenta un caso diverso da quello di Luthor e alla sua alienazione, cerebrale e interamente “di testa”, ne contrappone una emotiva e istintiva, tutta “di pancia”. Le atrocità di Joker sono (per lui) una forma di divertimento, tanto per farsi due risate alle spalle di Batman, che nelle interpretazioni più recenti l’allegro scellerato considera psicopatico almeno quanto se stesso. A pensarci bene non del tutto a torto, dato che anziché godersi i propri miliardi (Bruce Wayne, identità segreta del difensore di Gotham City, è ricco sfondato), indossa mantello, calzamaglia e ostenta una raucedine notturna. Le motivazioni al Joker non servono e il pubblico, nonostante il mutare delle sensibilità verso costruzioni più elaborate, è d’accordo. Per aggiungere spessore alla modellazione dei personaggi, gli sceneggiatori che li ereditano nel corso dell’epopea editoriale danno a Luthor una biografia e temi diversi. Ha avuto un’infanzia infelice e miserabile, o magari infelice e trascurata però abbiente, o ancora neanche troppo trascurata, ma con genitori che ha eliminato per incassarne l’assicurazione sulla vita ritenendoli troppo intellettualmente inferiori. Capovolgimenti che i lettori accettano da un restyling dell’antagonista al successivo e comunque, in un modo o nell’altro, Luthor, dalla latitanza delle origini in covi ipertecnologici quanto segreti, esce alla luce e fonda la megasocietà LexCorp, dietro al paravento della quale continua a ordire le sue trame divenendo uno degli uomini più ricchi del pianeta, un più attuale e credibile Elon Musk perverso. In parallelo gli autori gli attribuiscono svariati matrimoni e una figlia (in alcune incarnazioni) allo scopo di renderlo umano e immedesimativo, poiché nei malvagi di successo un pochino ci si può identificare. E Joker, allora? La sua biografia è mutevole e legata non a riscritture ingiustificate, quanto semmai al fatto che è lui a raccontarla ogni volta in modo diverso, asserendo di preferire un passato adattabile. Il suo vero nome è Jack Napier o forse Arthur Fleck, pagliaccio per le feste depresso o stand-up comedian fallito e/o chimico malpagato. L’unica certezza è che per sfuggire a Batman è finito in un bagno di sostanze chimiche da cui è uscito con quella faccia. A meno che non sia stato il Cavaliere Oscuro a sfigurarlo, nondimeno resta suonato come un cavallo e lungo il cammino trova una deliziosa fidanzata di nome Harley Quinn, picchiatella quanto lui, e fra separazioni e ricongiungimenti inevitabili per una coppia instabile in tutti i sensi, continuano a delinquere meno razionalmente possibile. Per parte sua Lex Luthor è sempre più freddo e implacabile, mosso da intenti difficili da condividere e tuttavia coerenti, intanto che l’ironia e l’imprevedibile incoerenza del Joker ci intrigano, facendone nei fumetti e nelle interpretazioni cinematografiche una figura tragica e profonda. Se non son matti davvero non li vogliamo, per cui a Joker e ad Harley Quinn sono state intitolate pellicole da protagonisti, invece Luthor resta un antagonista, al quarto posto nella classifica dei maggiori “villain” del fumetto compilata sui sondaggi del network IGN Entertainment di San Francisco, mentre Joker ha conquistato il secondo e addirittura il primo nella graduatoria della rivista americana Wizard. Con buona pace di Luthor, i grandi cattivi sono abituati alle sconfitte, non solo nelle vignette.
Jack Nicholson è il Joker del "Batman" del 1989 di Tim Burton. Quello tragico di Joaquin Phoenix arriverà solo nel 2019
Jack Nicholson è il Joker del "Batman" del 1989 di Tim Burton. Quello tragico di Joaquin Phoenix arriverà solo nel 2019