Da quattro mesi ricoverata a Fiorenzuola, la rinascita di Fina
La 75enne pensionata siciliana racconta la sua esperienza nel polo riabilitativo valdardese
Donata Meneghelli
|3 giorni fa

Fina Tardio con il dottor Roberto Antenucci
«Sono passata attraverso un periodo che ha messo alla prova il mio corpo e il mio spirito. Dopo tanto silenzio ho iniziato a risvegliarmi, a ritrovare la voce e la forza per affrontare ogni giorno con speranza. Persone meravigliose mi hanno accompagnato: terapisti, Oss, medici, infermieri, ognuno è stato un dono, una luce gentile che ha illuminato questa stanza d’ospedale. Con i loro gesti di cura mi hanno spinto a non arrendermi. Un grazie speciale va a mio marito, mio sostegno costante, e alle mie figlie che sono diventate i miei occhi, le mie mani, le mie braccia. A chi è in un momento difficile, desidero dire di non smettere di sperare».
Sono parole della signora Fina Tardio, 75 anni, originaria della Sicilia, da luglio ricoverata al polo riabilitativo dell’ospedale di Fiorenzuola, che lei ha ribattezzato «il cuore della rinascita». «Ho vissuto qui nell’abbraccio invisibile di tutto il personale». «Dopo un delicato intervento all’aorta, il 2 maggio, mia madre entrava in coma», ci ha racconta Sarah Talita, una delle tre figlie. Fina ricorda: «Quando arrivai, ero come sospesa, senza voce, senza forza, senza autonomia, immobile, con una tracheotomia, alimentata con sondino».
Ora ha reimparato a respirare, a deglutire, a parlare, anche se con un filo di voce. E’ anche attraverso il recupero della sua capacità di narrare che si è curata. Ce lo ha spiegato il dottor Roberto Antenucci, direttore dell’Unità spinale che comprende anche pazienti che hanno subito gravi cerebrolesioni. Sua l’idea di far ‘scrivere’ Fina (con l’aiuto delle figlie) come azione di auto-cura: «E’ quella che si chiama medicina narrativa – spiega il medico –. E’ un approccio complessivo di Medicina della persona: si curano gli aspetti fisici ma si accolgono anche emozioni, vissuti, desideri, paure. Per questi pazienti il percorso di cura è sempre molto lungo: per questo la giornata non può essere ridotta agli aspetti riabilitativi fine a se stessi. Prendere in carico un paziente, significa prendersi cura di tutta la persona». Leggi tutto qui

