Aggiungi un “selfie” a tavola… che c’è un like in più

Di Giorgio Lambri 29 Aprile 2021 20:14

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Un tempo gli scaffali delle librerie dedicati all’enogastronomia erano pochissimi: una nicchia d’angolo generalmente allocata fra i volumi sportivi e le guide per i viaggi.

Oggi occupano almeno il triplo dello spazio. Poi ci sono i magazine invasi da rubriche culinarie, l’incessante fiorire di riviste specializzate, il boom delle trasmissioni (o gare) televisive incentrate sulla cucina, l’esercito dei food e wine blogger. Insomma, il cibo è sempre più al centro della nostra attenzione attraverso un continuo processo di ri-mediazione.
“La deriva estetizzante ha trasformato il discorso intorno a ciò che mangiamo e la rappresentazione delle pietanze in un linguaggio a sé stante – scrivono Luisa Stasi e Sebastiano Benasso nell’interessantissimo saggio “Aggiungi un selfie a tavola” (Egea Editore) – che, dotato di una sua grammatica, significativo e riconoscibile, può essere utilizzato per esprimere molte altre cose. La pornografia alimentare si sviluppa in una società dove la dieta ha assunto un valore politico e nella quale il corpo magro è indice di capacità di controllo, di buone abitudini di vita e quindi di buona cittadinanza. Il food porn, cioè la proliferazione dei discorsi intorno al cibo e la circolazione di immagini di alimenti proibiti, è una forma di carnevalesco, uno spazio di sospensione simbolica delle norme dietetiche in un contesto sociale in cui vige una morale rigidissima intorno ai confini corporei”.
Per farla breve, è nata una sorta di comunicazione definita addirittura gastro-pornografica, in grado non solo di appagare simbolicamente un desiderio represso, ma anche di veicolare significati politici, identitari e comunitari. E poiché viviamo ormai in una società iper digitalizzata anche questo aspetto delle nostre vite è diventato prezioso e quotidiano foraggio dei social, in un fiorire di ricette e chef (veri e improbabili), casalinghe e gourmand da tastiera, con il telefonino utilizzato come passepartout per ottenere like e notorietà.
Perché abbiamo postato così tante foto di pane, pietanze, vini, pizze e focacce durante il lockdown? Come mai anche i politici scattano selfie e organizzano dirette Instagram davanti al cibo, a tavola, nei fastfood? Perché i video di cibi ma anche di uomini e donne che “magnano” hanno così tante visualizzazioni su YouTube? La risposta è fin troppo facile: il cibo è oggi certamente una delle forme di comunicazione più efficaci. Attorno ad esso abbiamo costruito una nuova socialità virtuale, riportando al centro delle nostre vite pubbliche e private – attraverso i riti dell’aperitivo, della cena o della semplice preparazione del pane – quel bisogno di comunità che la pandemia ha inevitabilmente frustrato. Prendiamo il #carbonaraday, evento social che ha letteralmente spopolato con decina di migliaia di persone che si sono riscoperte per un giorno comunità attraverso la personale rilettura di uno dei piatti bandiera della cucina italiana. Insomma, non più solo “digito, ergo sum” ma anche “aggiungi un selfie a tavola” che c’è un like in più.

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