Attenti all’impronta idrica:
la siccità si combatte anche
a tavola e con gli acquisti

26 Giugno 2022 05:00

 

Tutti noi lasciamo delle impronte invisibili ogni qual volta compiamo un’azione, anche la più semplice.
Tra queste, c’è quella idrica, ossia l’indicatore che misura la quantità di acqua necessaria per produrre cibo, oggetti e tutto ciò che utilizziamo e consumiamo. Si tratta di un parametro ancora poco utilizzato dalle aziende per indirizzare le strategie e dai consumatori per orientare le proprie scelte.
In Italia si stima che ciascun cittadino, nel normale svolgimento della sua vita quotidiana, ha un’impronta idrica teorica di 6.300 litri d’acqua al giorno, tra consumo diretto e indiretto, tenendo quindi conto anche dell’acqua impiegata per produrre e trasportare i cibi che mangiamo, per fabbricare l’abbigliamento che indossiamo e per svolgere ogni altro tipo di attività.
Impronta idrica del cibo
Per produrre un chilo di carne di manzo sono necessari mediamente circa 15.000 litri di acqua, per un chilo di carne di maiale la stima è di 4.800 litri di acqua, per un chilo di carne di pollame è di 3.900 litri. E poi il formaggio (5.253 litri per chilo di prodotto), le uova (200 litri cadauno) e il pesce (2.314 litri). Per produrre un chilo di pomodori sono necessari 200 litri, per un chilo di lattuga 237 litri, per un chilo di patate ben 900 litri di acqua.
Anche per quanto riguarda i cereali e loro derivati l’impronta idrica varia in base alla provenienza e alle modalità di coltivazione adottate, oscillando tra i 902 litri medi necessari per produrre 1 chilo di pane (40 litri a fetta), ai 1.509 litri della pasta, fino ai 1.597 litri del riso.
È dunque facile intuire come un aiuto al risparmio idrico (e anche alla riduzione delle emissioni) possa arrivare dalle nostre abitudini alimentari.
Ad esempio, scegliendo una dieta maggiormente a base vegetale, tagliando il consumo di carne, con effetti benefici anche sull’organismo.
Diversi studi hanno rivelato come gli alimenti di una dieta vegetariana utilizzino fino al 55% in meno di acqua rispetto a quelli di una dieta onnivora.
Inoltre, mangiare prodotti di stagione è più ecologico perché non devono essere coltivati utilizzando serre o altri sistemi impattanti. Spazio anche al bio, le cui aziende gestiscono le risorse idriche in modo sostenibile, riducendo i consumi e cercando una maggiore efficienza, e al chilometro zero, che abbatte l’acqua impiegati nei trasporti.
C’è poi un punto che ha un doppio aspetto etico: ridurre lo spreco. Oggi quasi un terzo della produzione mondiale di cibo viene buttata, dato già di per sé inaccettabile, ma con essa se ne va anche l’acqua usata per produrla.
Conclusione: un pasto sostenibile richiede all’incirca mille litri di acqua rispetto ai circa tremila di uno molto ricco di proteine animali e cibi non di stagione. In tal senso, la dieta mediterranea è perfetta.
Vestiti e oggetti
L’industria tessile è la seconda più inquinante e “sprecona” dopo quella alimentare.
Il settore tessile è responsabile a livello globale del 10% delle emissioni inquinanti e il 20% del consumo idrico mondiale. Ad esempio, secondo il Water Footprint Network, per produrre un paio di jeans servono diecimila litri d’acqua, mentre per una t-shirt sono necessari circa 2.700 litri e per un chilo di pelle per borse e cinture oltre 16mila litri per chilo.
Per i prodotti industriali si calcola una media di 80 litri di acqua per ogni 75 centesimi spesi.
In questo caso, il modo migliore per aiutare il Pianeta, quindi tutti noi, è la scelta, cercando di privilegiare l’acquisto di quei marchi maggiormente attenti al tema.
Un aiuto potrebbe arrivare dalle etichette, che potrebbero contenere l’impronta idrica del singolo prodotto e dell’azienda che lo realizza. Ma per il momento sono pochissime.

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