Volti nuovi in consiglio comunale, i ritratti di Angela Fugazza e Sergio Ferri

15 Luglio 2022 05:17

ANGELA FUGAZZA
Le sue radici affondano a oltre ottomila chilometri da Piacenza, tra le acque turchesi, la sabbia bianca e le tensioni geopolitiche del Venezuela. Angela Fugazza, 33 anni, è nata e cresciuta a Valencia, la capitale della regione di Carabobo, nell’America Latina. “Parlo a livello madrelingua lo spagnolo, l’inglese e l’italiano. Il francese l’ho studiato a scuola e sto cercando di non perderlo – dice – un mio obiettivo è quello di perfezionarlo nei prossimi mesi”. Adesso, però, sul cammino di Fugazza ci sono anche altre priorità: il primo figlio in arrivo a metà agosto (il pancione è inconfutabile) e l’impegno amministrativo nel consiglio comunale di Piacenza, dove è stata eletta tra le fila della sigla civica di Katia Tarasconi. “Le difficoltà del Venezuela mi hanno insegnato che la politica è un fenomeno che tocca tutti i cittadini”, racconta l’esponente di centrosinistra, volto nuovo nell’aula di palazzo Mercanti.

A Valencia, Fugazza ha frequentato una scuola superiore statunitense. Nel 2007, dopo il diploma, ha deciso di trasferirsi a Piacenza, città natale di suo nonno paterno. “Per i giovani venezuelani che potevano permetterselo – ricorda la neoconsigliera – l’idea di restare non era tra le opzioni contemplate. Nella mia famiglia condividiamo la vena sognatrice, anche se dobbiamo costruirci il futuro mattone per mattone”. Così è stato per i nonni, che “avevano deciso di emigrare da molto giovani alla ricerca di una vita con più prospettive – aggiunge Fugazza -. I miei genitori sono nati entrambi in Venezuela e, ad oggi, sono parte della generazione che crede nelle potenzialità del paese, perciò scelgono consapevolmente di restare e lottare per un futuro migliore”.

Fugazza lavora come addetta commerciale in una società di elettronica, oltre all’attività da traduttrice e insegnante di inglese. Frequenta in remoto la facoltà di Business&management della London School of Economics. La ragazza aderisce al gruppo organizzativo di Cives, lo spazio di formazione civica dell’università Cattolica di Piacenza. Dall’anno scorso, inoltre, è membro del comitato operativo di “Volunteers Foundation”, fondazione che gestisce una scuola in Kenya.


SERGIO FERRI
“Consigliere Ferri, si metta di tre quarti per favore”. “Ora un po’ più a favore di luce”. Non ci siamo, è palese che non è “nel suo”. Sergio Ferri, il nuovo consigliere del Pd, davanti all’obiettivo proprio non vuole saperne di starci, pare anzi un filo imbarazzato, anche se in questo caso l’obiettivo è composto di domande e non di lenti focali. Eppure il suo ritratto bisogna redigerlo e allora si dica che Ferri è fotografo, che ha 53 anni, sposato con Barbara, giornalista di Libertà, e che ha due figli: Nicola Giovanni e il più piccolo Davide. Del primo tiene a dire che frequenta Filosofia all’Università di Torino, forse perché la stessa facoltà che anni fa ha frequentato lui stesso a Parma. “Con una tesi sociologica” precisa.

In 192 gli hanno dato la preferenza – altra cosa rispetto ai 30 voti ottenuti quando si candidò nella tornata elettorale che condusse al Reggi bis – e spiega che quei voti non hanno un quartiere di riferimento. “Sono disseminati un po’ qua e un po’ là per la città”.

Ferri ama una parola: cooperazione. Non è un caso che per F3 Studio, che condivide con la socia Serena Groppelli, fresca di assessorato nella giunta Tarasconi, abbia scelto la forma della cooperativa. “Sono legato per ragioni culturali a questa forma di società – dice – questa parola non vuol dire dividere degli utili, ma accantonarli per svilupparsi ulteriormente”. Di cooperativa ne fondò una con i compagni di università, la Ethos, attiva nel ramo della consulenza e dei servizi formativi nel sociale. È in quel momento che entra in contatto con il mondo di Confcooperative e di Legacoop, per la quale comincia poi a lavorare ricoprendo anche il ruolo di direttore della progettazione dell’ente formativo per l’Emilia Romagna e poi su, a impennarsi di grado – ma giù per latitudine – fino a Roma. Nella Capitale resta cinque anni.

Stop. È il 2014 e Ferri dà una svolta alla sua vita fondando lo studio fotografico, trasformando la passione che lo accompagna da sempre in un lavoro. “Seguo matrimoni, eventi, ma porto avanti anche un percorso più personale”. Ha un’idea precisa di quello che fa. “Mi interessa fotografare le persone – spiega – la dimensione sociale della città, ma anche i confini dove la città diventa campagna, i suoi margini”. Come esempio estrae dai ricordi un paio di progetti: “Il quotidiano che non è ovvio”, una mostra promossa dalla Caritas diocesana che racconta la realtà del Campo nomadi, e “Il lavoro non dorme mai”, esposizione per la Cgil che ha per oggetto i lavoratori della notte.
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