Dal 21 febbraio al 21 marzo: il mese che ha sconvolto Piacenza con 257 morti

21 Marzo 2020 04:00

E’ passato un mese esatto da quel 21 febbraio che ha segnato ufficialmente l’avvio dell’emergenza coronavirus in Italia. Un paziente contagiato, tre, sei, 40mila. Una decina di paesi, due regioni, tutto lo Stivale. E’ una curva in crescita esponenziale, che dal paziente 1 di Codogno – e che ora dopo un mese di terapia intensiva è in via di guarigione – si è estesa dal basso lodigiano, a Piacenza, e via via a tutta la nazione, stravolgendo la vita di imprese, cittadini, artigiani, ma soprattutto di medici, infermieri e operatori sanitari – ogni giorno in prima linea per cercare di salvare vite umane – e di chi invece ha perduto la sua battaglia contro un nemico invisibile ma letale.

Pesantissimo il tributo di Piacenza, purtroppo in continuo aumento: ad oggi 257 decessi e 1.575 contagi.

Il 22 febbraio il ricovero del primo piacentino, un infermiere del pronto soccorso dell’ospedale di Codogno entrato in contatto con il paziente 1. Lo stesso giorno la decisione di blindare 10 comuni del lodigiano, chiudere le scuole piacentine e gli impianti sportivi. Due notizie hanno segnato il 26 febbraio: il primo decesso a Piacenza, un 70enne lodigiano, e la nascita di bimbo negativo al virus nonostante la mamma fosse contagiata.

Un mese di epidemia, in cui ai primi, timidi, provvedimenti per arginare il contagio, ne sono seguiti altri sempre più stringenti, fino al blocco totale del Paese. Il 4 marzo la decisione del governo di chiudere scuole e università in tutto il Paese fino al 15 marzo, e successivamente fino al 4 aprile. Il 7 marzo è il giorno del grande caos: assalto ai treni e fuga verso il sud nella notte, subito dopo la fuoriuscita dal Palazzo della bozza di decreto che avrebbe stabilito a breve la chiusura di Lombardia e altre 14 province del nord Italia. Quattro giorni dopo l’estensione del provvedimento a tutta l’Italia, che limita gli spostamenti e lascia aperti sono gli esercizi commerciali di prima necessità.

Un mese in cui la macchina sanitaria, fatta di procedure, di terapie, e soprattutto di persone, si è mossa per dare aiuto, dentro e fuori l’ospedale, a partire dalla decina e decina di interventi in urgenza delle ambulanze. Un mese in cui medici e infermieri hanno lavorato a fianco di malati strappati dagli affetti e a stretto contatto con respiratori e paure, in una simbiosi che probabilmente non avevano mai sperimentato prima: quella tra professionalità ed emotività. Sforzi che non hanno impedito che la settimana dal 11 al 18 marzo fosse la più tragica per Piacenza, con 139 vittime in sette giorni. Un trend che da allora è purtroppo rimasto sempre ben oltre i 20 decessi giornalieri. Un trend che a livello nazionale il 19 marzo ha portato l’Italia a superare la Cina, in termini di vite umane.

Un mese in cui l’hashtag più diffuso è quel #IoRestoACasa, accompagnato dal corale appello di tutti, sanitari, autorità, forze dell’ordine, “Non uscite”.

Ora, a trenta giorni di distanza, la raccomandazione del direttore generale dell’Asl Luca Baldino, è quella di non abbassare la guardia né ora né dopo che l’attesissimo picco sarà finalmente arrivato, perché – ha spiegato – “Se ricominciassimo a uscire e ad avere intensi rapporti sociali, ricomincerebbe la propagazione del virus provocando una nuova ondata che la sanità avrebbe veramente difficoltà a reggere”.

Una nuova speranza, per chi ha contratto il virus Covid-19, arriva dal Tocilizumab, il farmaco anti-artrite indicato come performante per fermare il virus, per il quale l’Aifa ha dato l’autorizzazione all’utilizzo in tutti gli ospedali dell’Emilia-Romagna. La conferma è arrivata dal commissario straordinario per l’emergenza coronavirus, Sergio Venturi.

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