“I territori travolti dalla prima ondata Covid hanno retto meglio alla seconda”

13 Aprile 2021 15:32

“Le aree del Paese che hanno più sofferto le conseguenze della diffusione della prima ondata pandemica sono parse decisamente più al riparo nella seconda”. Tra queste, c’è anche Piacenza, dove potrebbe essersi sviluppata una sorta di mini-immunità di gregge, pari al 50-70% della popolazione.
Si riassume così la ricerca degli igienisti del Dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze dell’università di Modena e Reggio Emilia, nell’ambito di una collaborazione internazionale.
Lo studio, firmato dal professor Marco Vinceti e dal dottor Tommaso Filippini, è stato ripreso e pubblicato in questi giorni sulla prestigiosa rivista internazionale Environmental Research .

Tutto è partito dalla creazione di un database contenente l’incidenza per popolazione provinciale nei periodi febbraio-maggio e settembre-ottobre 2020, tenendo altresì conto di indicatori socio-demografici tra cui l’indice di vecchiaia, la proporzione di famiglie mononucleari, e la mobilità dei residenti. “Si tratta certamente – spiega l’università – della prima rigorosa analisi delle relazioni tra prima e seconda ondata Covid-19 in Italia e dei legami epidemiologico-statistici tra di esse”.
“Non pochi commentatori e mezzi di comunicazione – aggiunge Vinceti – hanno osservato in questi ultimi mesi, cioè nel corso della cosiddetta seconda e terza ondata del Covid-19 nel nostro Paese, come aree duramente colpite dalla prima drammatica ondata della pandemia nella primavera 2020, quali le province di Lodi, Bergamo e Piacenza, fossero relativamente poco toccate dalla successiva recrudescenza dell’infezione da SARS-CoV-2. La ragione di questo esito non è tuttavia chiara e, soprattutto, mancava un’analisi sistematica di questo fenomeno, cioè delle relazioni tra intensità della prima e della seconda ondata, applicate all’intero territorio nazionale”.
Sulla base di una procedura statistica specificamente sviluppata per questo studio dal professor Nicola Orsini dell’Istituto Karolinska di Stoccolma e dallo stesso Filippini, è stato possibile effettuare un confronto tra le due ondate del Covid-19 in Italia: “I risultati ottenuti, relativi all’intero territorio nazionale suddiviso su base provinciale, hanno permesso di osservare una correlazione diretta tra le due ondate sino ad una incidenza nella prima ondata di circa 500 casi/100.000 residenti. Oltre tale incidenza, la seconda ondata ha invece evidenziato un andamento chiaramente inverso, risultando tanto più attenuata quanto più forte era stata l’intensità della prima ondata”.

L’interpretazione di questi risultati, secondo gli autori, ha lasciato aperte tre ipotesi:
– che nel corso della prima ondata si sia stabilita un’immunità non così lontana da quella cosiddetta di gregge (almeno 50-70% della popolazione, per questa infezione), nonostante i livelli di sieroprevalenza anticorpale dell’indagine nazionale Istat evidenziassero tassi di immunità umorale assai più bassi e comunque non superiori al 5-10% anche nelle aree più fortemente colpite, forse a causa di una immunità specifica cellulare oppure ‘crociata’ con altri coronavirus
– la prima ondata abbia selettivamente colpito i cosiddetti “superdiffusori” (superspreaders), cioè gli individui maggiormente responsabili della trasmissione dell’epidemia, limitandone quindi tale ruolo nel corso della seconda ondata a causa di una loro pregressa immunizzazione post-infezione;
– che nelle province più colpite siano state adottate, da parte della popolazione, misure precauzionali più accentuate rispetto agli altri contesti geografici.

“Sulla base degli elementi disponibili, tale ultima ipotesi – è convinzione degli autori – è stata però considerata poco plausibile”.

IL SERVIZIO DI MICHELE RANCATI

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