Disturbi alimentari, la Regione assicura: “Tanti tagli, ma nessun centro chiuderà”

12 Gennaio 2024 11:11

“Nonostante i tagli inseriti nella legge di bilancio, la Regione si impegna a garantire la cura delle persone che soffrono di un disturbo alimentare”. Così l’assessore alle Politiche per la salute, Raffaele Donini, rassicura i pazienti e i loro familiari, preoccupati dalle voci di chiusura dei centri che si occupano di queste patologie.

“La nostra rete di assistenza e cura non subirà riduzioni – spiega Donini – resta tuttavia un serio problema che proporrò di affrontare in Commissione nazionale salute della Conferenza Stato-Regioni: lo Stato non può abbandonare questi cittadini lasciando completamente sulle spalle delle Regioni l’onere delle cure. Solo per l’Emilia Romagna parliamo di oltre duemila persone, tra cui minori che possono rischiare la vita. Abbiamo sul nostro territorio il 18% delle strutture pubbliche nazionali per la cura dei disturbi alimentari, non possiamo accettare che si disperda questo patrimonio. E per altre regioni meno strutturate i tagli avrebbero conseguenze anche peggiori”.

COSA SONO I DISTURBI DELL’ALIMENTAZIONE E DELLA NUTRIZIONE – I disturbi della nutrizione e dell’alimentazione rappresentano un gruppo di condizioni caratterizzate da marcata compromissione medica e psicopatologica, con un diretto impatto sullo sviluppo delle persone affette e dei loro familiari. L’eziopatogenesi è complessa e la difficoltà della gestione familiare è significativa. L’esordio avviene quasi sempre in età evolutiva. Si tratta di disturbi psichiatrici con risvolti nutrizionali e metabolici che possono mettere a rischio la vita di chi ne è affetto, con percentuali di morte che nella fascia 12-25 anni sono seconde solo a quelle degli incidenti stradali. Non è un caso se la documentazione scientifica nazionale ed internazionale raccomandi di porre la massima attenzione alla gravità e alla complessità psichiatrica, psicologica e metabolico-nutrizionale del quadro, per predisporre piani precoci ed individualizzati di trattamento quanto più rispondenti alle necessità del paziente, della sua famiglia e dell’intero contesto di riferimento. Occorre superare la frammentarietà dell’intervento e promuovere una presa in carico con un approccio basato su una rete multidisciplinare integrata di servizi, che possa offrire tutti i livelli di cura, da quello ambulatoriale a quello residenziale. La sfida assistenziale è legata al buon lavoro in equipe multiprofessionale, alla prevenzione e al riconoscimento precoce dei disturbi, alla presa in carico del paziente e della sua famiglia, al lavoro di rete organizzato su più livelli e alla ricerca. Occorre facilitare la richiesta di aiuto, le conoscenze, l’accesso alle cure e soprattutto garantire la stabilità delle risorse impiegate su tutti i livelli di assistenza (dagli ambulatori ai Day Service, dai ricoveri giornalieri alla riabilitazione intensiva o estensiva residenziale).

Il fondo nazionale tagliato dalla legge di bilancio – “Il fondo per il contrasto dei disturbi dell’alimentazione e delle nutrizione – si legge in una nota diffusa dalla Regione – è stato istituito nel 2003 e prevede complessivamente 25 milioni di euro su scala nazionale, di cui 1,8 milioni per la Regione Emilia Romagna. Questi fondi hanno consentito di stabilizzare e consolidare il modello organizzativo della rete ambulatoriale basato sull’équipe multidisciplinare, sostenere la definizione, la pubblicazione e l’implementazione del percorso diagnostico terapeutico assistenziale (Pdta) Dna in ogni Ausl, attuare trattamenti di cura basati sulle evidenze scientifiche. Non solo: la Regione ha potuto applicare gli standard di riferimento per le unità di ricovero ospedaliero metabolico-nutrizionale urgente in degenza ordinaria, realizzare una formazione regionale co-progettata dall’Università di Bologna, garantire interventi a supporto delle famiglie. Anziché consolidare le risorse specializzate e competenti dedicate al trattamento dei Dna per garantire la tempestività e la continuità delle cure, il mancato rifinanziamento avrebbe conseguenze significativamente negative. Non curarsi, interrompere le cure o ricorrere a cure non adeguate può infatti condurre ad un peggioramento della prognosi e all’aumento del rischio di cronicizzazione. La riduzione delle risorse necessarie diminuirebbe infatti l’efficacia del trattamento ambulatoriale con il successivo maggiore ricorso ai ricoveri ospedalieri o a trattamenti riabilitativi più intensivi che presentano un costo molto elevato per il servizio sanitario nazionale”.

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