Tidoncello, il mugnaio Albertini fa vivere il mulino senza tempo

Costruito nel 1929 è un capolavoro di ingegneria “povera” ancora in funzione, con la forza delle braccia e della natura

Redazione
|15 ore fa
Giuseppe Albertini, classe 1941, uno degli ultimi mugnai dell’Alta Val Tidone - © Libertà/Fabrizio Tummolillo
Giuseppe Albertini, classe 1941, uno degli ultimi mugnai dell’Alta Val Tidone - © Libertà/Fabrizio Tummolillo
1 MIN DI LETTURA
di Fabrizio Tummolillo
Mattinata di lavoro al Mulino Reguzzi, un capolavoro di ingegneria “povera” costruito lungo il Tidoncello, tra Nibbiano e Pecorara in Alta Val Tidone, nel 1929 e dopo quasi un secolo tuttora in funzione con i suoi ingranaggi di legno lubrificati con la sugna.
A macinare giovedì mattina c’era Giuseppe Albertini, classe 1941, uno degli ultimi mugnai della Val Tidone. A dargli una mano armati di badile, impegnati nella pulizia del canale che prende acqua dal Tidoncello per alimentare la grande ruota in metallo, c’era una coppia di amici: l’agricoltore e falegname Marco Bongiorni della vicina Marzonago e la moglie Uzza, di origini romene, che ben volentieri si prestano a supportare Albertini nei lavori più pesanti. Tutto come si faceva nel secolo scorso, quindi, con la sola forza delle braccia e delle leggi della natura. Nel mulino, infatti, la corrente arriva solo per alimentare qualche lampadina mentre è l’acqua che scorre ad azionare la macina in “sasso francese” per la molitura di grano tenero, grano duro e mais. Un’altra macina in “sasso unico”, a lato della prima, serve per le farine destinate all’alimentazione degli animali, ma funziona egregiamente anche con fagioli e ceci secchi.
Il Mulino Reguzzi sul Tidoncello (foto Tummolillo)
Il Mulino Reguzzi sul Tidoncello (foto Tummolillo)
Giovedì Albertini ha macinato il grano biologico portato da Bongiorni, il quale userà la farina ricavata per autoconsumo. La licenza per svolgere l’attività in forma professionale non è più rinnovata dal 1985 ma la struttura, grazie alle cure del suo mugnaio, è ancora oggi attiva e viene messa in funzione, in forma privata e gratuita, per amici, conoscenti e appassionati che coltivano i propri cereali o per qualche visitatore che arriva in alta valle per ammirare questo gioiello dell’ingegno contadino che pare uscito da un racconto di Giovannino Guareschi o da un reportage in bianco e nero di Mario Soldati. Fu costruito su resti (in parte ancora visibili) di una precedente struttura ottocentesca. La ruota, smontata, e gli ingranaggi di metallo arrivarono fino a Nibbiano in tram e furono poi portati con un carro trainato dai buoi lungo il fiume in quanto non esisteva ancora la strada.