Non con un’esplosione ma con un lamento: la fine del mondo di Stephen King

In un paese lontano lontano ma comunque nella mia provincia abitano tanti anziani. È uno di quei paesi di montagna baciati dal sole, con meno di 500 abitanti, che si sveglia un po’ d’estate perché abbiamo il fiume e in quel paese il fiume è particolarmente bello.
È notizia di questi giorni che il paese sia stato recintato, e dove non è stato recintato ci sono le telecamere “così non arrivano persone dalle zone rosse”, perché è un paese di confine. La decisione è arrivata perché dopo 7 mesi Covid free un residente è stato trovato positivo e la notizia ha scosso la comunità, che già da un mese viveva in semi isolamento a causa del crollo di un ponte.

Ora, la sorte, l’ironia, gli dèi che giocano con le vite degli uomini, scegliete la vostra fede, fatto sta che, dopo 10 anni di contrattazione travagliata, e vari tentativi da parte di George Romero, Ben Affleck e altri, a dicembre 2020 uscirà negli USA “The Stand” prodotta dallo showrunner Josh Boone, la nuova miniserie prodotta dalla CBS tratta dall’omonimo libro di Stephen King del 1978, pubblicato in Italia con il titolo “L’ombra dello scorpione”, che racconta la storia di una superinfluenza che stermina il 90% della popolazione mondiale, e dei sopravvissuti che si ritrovano a combattere una battaglia tra il Bene e il Male, uno scontro tra comunità, tra Boulder, Colorado e la città del peccato Las Vegas.

La serie ha un super cast con, tra gli altri Whoopi Goldberg come Mother Abigail, composto da James Marsden come Stu Redman, Amber Heard come Nadine Cross, Alexander Skarsgård come Randall Flagg, Greg Kinnear come Glen Bateman.
Non è mancato il contributo di Stephen King, che dopo aver rilasciato una versione riveduta e ampliata nel 1990, che comprende interi capitoli di approfondimento di alcuni personaggi tagliati nella prima fase di editing, ha scritto un nuovo capitolo aggiuntivo, introducendo un nuovo finale, al quale, ha raccontato, ha pensato per dieci anni.
Sono anni che lo facciamo, e ancora una volta non resta che inchinarsi di fronte alla grande capacità di visione dello scrittore, che quarant’anni fa ha raccontato un mondo sopravvissuto a una pandemia globale.

Come sempre, l’immaginario di King è così vivido che sembra già quasi di vederlo su uno schermo mentre lo stai leggendo, e infatti anche di “The Stand” è già stata fatta una miniserie in quattro puntate nel 1994, diretta da Mick Garris, un esperto dell’horror, e con Gary Sinise, Molly Ringwald e Rob Lowe.
Ora, Stephen King è un mio spirito guida, ho letto quasi tutti i suoi libri, molti li ho riletti più volte (“L’ombra dello scorpione” almeno 3 volte), ho visto i suoi libri al cinema messi in scena da chiunque, da Stanley Kubrick al mio vicino di casa, lo vedo dappertutto (in questi anni è dappertutto), ma non avevo mai visto la mini serie su “L’ombra dello scorpione”, che, rullo di tamburi, è su YouTube, solo in originale e senza sottotitoli.

Inizia con una lapsteel, un cancello con No trespassing e un corvo. Suona l’allarme, una famiglia riesce a scappare e via una carrellata di morti senza neanche un suono, sembra l’inizio di “Harry pioggia di sangue”, quel piccolo cult sanguinario che scatenava le ire di Moretti in “Caro Diario”. Poi vabbè sono cinque ore di scarsa memorabilità, buone intenzioni e basso budget, di riproduzione fedele e di tagli criminali, di stile anni’90 che sembra addirittura anni ’80 e di curiosi cameo, Ed Harris, Kathy Bates, Karim Abdul Jabar, George Romero, e di effetti speciali imbarazzanti.


Per me “l’Ombra dello scorpione” è il professore di sociologia Glen Bateman (il mio preferito nel piccolo gruppo di personaggi che possono cambiare il mondo) che in poche pagine mette in fila tutti i possibili scenari economici e politici del post influenza, Harold Lauder che lascia una traccia di Twix, Nick Andros in galera con lo sceriffo, il giornalista che muore sulla sua macchina consegnando porta a porta le ultime copie del giornale della sua città, quel bellissimo capitolo sui morti del post influenza, tagliato nella prima edizione.


Rispetto a questa nuova produzione, il fatto che Josh Boone abbia finora lavorato quasi esclusivamente a progetti rivolti a una platea di adolescenti (Stuck in love, Colpa delle stelle, The New Mutants) abbassa di parecchio le aspettative, ma ormai la speranza è uscita dal vaso di Pandora, e chi la ferma più.

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