The Suicide Squad e la fantasmagorica rinascita della DC

E’ tornato James Gunn, grazie alla Warner Bros che ha deciso di infischiarsene dei vecchi tweet che avevano portato al licenziamento di Gunn da parte della Disney (poi si sono precipitati a riassumerlo e sarà comunque lui a dirigere I Guardiani della Galassia Vol.III) e che l’ha ingaggiato per girare una nuova puntata di “Suicide Squad” del 2016 (che è stato molto criticato ma, che diamine, ha incassato 750 milioni di dollari).

“The Suicide Squad” fa ovviamente leva sul fatto che lo spettatore sappia tutto: la squadra è composta di persone con poteri speciali, criminali, che accettano di partecipare a missioni suicide con l’obiettivo di ottenere uno sconto di pena, e tutto il progetto super segreto è gestito dal boss Amanda Waller di Viola Davis. Il franchise è così noto che si possono anche permettere di perdere gran parte del cast del film precedente (ma non Harley Quinn) e di sostituirlo con altri nomi noti, e quindi ecco Idris Elba a sostituire Will Smith con un personaggio pressoché identico ma con un altro nome, e addirittura di raddoppiarlo con il Peacemaker di John Cena che è a sua volta un killer infallibile. Torna anche il colonnello Flag di Joel Kinnaman (quel tizio enorme protagonista di “Altered Carbon”). Ma alla sceneggiatura e alla regia questa volta c’è James Gunn e quindi il film è crudissimo e allo stesso tempo divertente e surreale.

 

Ancora una volta la colonna sonora è pazzesca, parte con Johnny Cash che interpreta “Folsom Prison Blues”, proprio quella che Cash ha cantato in quella prigione, ancora una volta c’è un inizio folgorante, ancora una volta c’è una squadra di disadattati, super di serie B, freaks che diventano gruppo e poi eroi proprio perché non devono dimostrare a nessuno di essere eroi.

 

Gunn riesce a costruire quello che Ayer non era riuscito neanche ad abbozzare: la squadra. Il leader di Elba funziona, il suo legame con la ragazzina Ratcatcher 2 funziona, le confidenze sull’autobus, la serata da ubriachi al bar. In quattro sequenze Gunn porta a casa il risultato e noi al fatto che questi disgraziati abbiano un senso dell’onore, dell’amicizia, del bene comune, ci crediamo.

 

Aiuta il fatto che non ci sia il Joker a distrarre Harley dall’essere magnificamente Harley, ovvero un mix di follia, tragedia, istinto omicida e brutti ricordi (i suoi, ma anche i miei a ripensare a quel moscissimo “Birds of Prey”).

 

E poi vabbè c’è una donnola, uno squalo con i piedi, una stella marina gigante, teste tagliate, gente mangiata, gente strappata in due, migliaia di topi, valanghe di humour nero, decine di citazioni, un super tremendamente emo modificato dalla madre che si chiama Polka-Dot Man e spara pallini, un clima da festa continua dove capisci che tutti si sono divertiti da pazzi, e una scena di lotta importantissima ripresa a specchio su un elmetto deforme. E perché James Gunn fa una cosa del genere? Perché può.

 

 

 

 

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