Afghani, un anno fa l’arrivo a Piacenza: ora quasi tutti al Sud. Pochi posti disponibili

11 Agosto 2022 17:06

Prima l’inserimento di 75 profughi nel centro-quarantena di San Polo, poi l’accoglienza nelle strutture finanziate dallo Stato di altre 38 persone fuggite ai talebani attraverso il ponte aereo Roma-Kabul. Così, esattamente un anno fa, anche a Piacenza si apriva la strada verso la libertà del popolo afghano. Una situazione ben diversa rispetto ad oggi: in questo momento, nel nostro territorio, gli enti accreditati con la pubblica amministrazione ospitano solo uno di quei richiedenti asilo scampati alla dittatura. L’emergenza si è azzerata? Gli afghani sono tornati nel loro Paese? No, niente affatto. Il sistema piacentino, al contrario, non sarebbe stato in grado di garantire lo standard di accoglienza dettato dalla crisi umanitaria.

Dopo una prima permanenza a livello locale, infatti, i nuclei scappati dai fondamentalisti islamici sono stati trasferiti in altre province. Il motivo è presto spiegato: una volta terminato il percorso iniziale nei posti attivati dalla prefettura all’interno dei cosiddetti Cas (centri di accoglienza), la disponibilità nei successivi progetti comunali Sai (Sistema di accoglienza e integrazione) è risultata insufficiente. Non è una novità, si tratta di una carenza annosa. Ma l’ondata di profughi afghani, negli ultimi mesi, ha rappresentato una cartina al tornasole di questo problema.

Sono 25 i posti accreditati al Sai – di fatto il secondo livello di accoglienza – in tutto il territorio: l’unica realtà in campo è la cooperativa Ippogrifo su incarico del Comune di Piacenza. “Il servizio è finanziato interamente dal ministero – spiega il coordinatore Davide Tacchini -. È vero, l’offerta è sottodimensionata rispetto alle necessità”. Fatto sta che, in concreto, i profughi afghani collocati nel Piacentino un anno fa sono stati dirottati presto in altri territori. Tranne uno. “Quasi tutte le persone arrivate con il ponte aereo tra Roma e Kabul – conferma la prefettura – sono state trasferite nei progetti Sai attivi altrove, in particolare nelle zone meridionali del Paese, ad esempio in Puglia e Calabria”.

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