Rigenerazione per comunità e progetto di paesaggio: i giovani architetti in Trentino

23 Novembre 2023 05:01

Rigenerazione è la parola del momento, nel campo del progetto architettonico e di paesaggio. Un concetto che spesso si accompagna alla retorica del “piccolo”.
Rigenerare un piccolo borgo è quanto di più politicamente corretto ci possa essere, in questi tempi di ripensamenti teorici e di ambiziosi programmi finanziati con i fondi europei.
“Noi vogliamo fare qualcosa di più “vero” e di più intenso: spingiamo gli studenti a mettere in discussione le idee consolidate, a confrontarsi con le condizioni dei territori contemporanei, a sviluppare visioni al futuro”.
Chiara Bertoli e Michele Roda, architetti, sono i docenti del Laboratorio di Progettazione Architettonica 3 del Corso di Laurea in Progettazione dell’Architettura del Politecnico di Milano. Ormai da anni sviluppano, con gli studenti del Polo Territoriale di Piacenza, un programma didattico che prevede un’applicazione progettuale concreta: “Abbiamo lavorato a San Pellegrino Terme e a Bobbio, dallo scorso anno ci concentriamo su Santa Massenza, in Trentino. Sono paesi piccoli e piccolissimi. Ma quello che li accomuna è anche una, inaspettata, dimensione globale”.

Erano le Terme e la storia del turismo a San Pellegrino, la straordinaria Abbazia a Bobbio. A Santa Massenza c’è un’importante Centrale idroelettrica, una delle più grandi in Italia. Che ha generato lavoro ma che oggi impatta pesantemente sul paesaggio, rompendo la continuità tra l’abitato e il suo lago.
“I nostri studenti, circa 60 in questi ultimi 2 anni – proseguono i docenti – sono ormai progettisti formati, all’ultimo anno della Laurea di primo livello. Tra qualche mese potranno lavorare come professionisti. Per questo crediamo sia fondamentale che acquisiscano consapevolezza rispetto al fatto che le nostre città, i nostri paesi, i nostri territori sono il frutto di contraddizioni e paradossi, di scelte tecniche e politiche con conseguenze che durano decenni. Santa Massenza è un laboratorio a cielo aperto in questo senso. E ci permette di affrontare un progetto complesso”.
Complessità che risiede soprattutto nell’integrazione di forme e funzioni urbane, nel ruolo dello spazio pubblico così come delle aree della produzione agricola.
Emerge una nuova visione delle realtà urbane e dei paesaggi, di forte connessione tra tutte le componenti: abitati, natura, suoli, acque, patrimonio, boschi, produzioni artigianali, vocazioni turistiche.
Tematiche che rappresentano lo sfondo delle azioni e delle pratiche architettoniche a livello internazionale: dai contenuti del New European Bauhaus ad Agenda2030, dalle sollecitazioni della Biennale di Venezia (che proprio in questi giorni chiude la sua esposizione dedicata al Laboratorio del Futuro) agli obiettivi e alle missioni del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
“In pochi anni sono cambiati i riferimenti, anche normativi, dei nostri progetti. Intorno alla questione dell’emergenza climatica si è sviluppato un common ground che conferisce agli architetti un ruolo diverso: non più, solo, autori della forma fisica ma registi e coordinatori di strategie complesse che hanno come obiettivo il riabitare luoghi abbandonati o dismessi, in cui identità e valori sembrano svaniti, nascosti da anni di incuria e di scarsa cura. In questo senso nei nostri Laboratori facciamo una scelta precisa: non diamo agli studenti un programma di funzioni e spazi da seguire. Ma chiediamo loro di sviluppare un processo autonomo e personale, proponendo usi e innovazioni che possano innescare una rigenerazione ampia. Che sia, prima di tutto, una rigenerazione delle comunità e per le comunità”.

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