“Più tempo per gli affetti e la famiglia”: boom di dimissioni volontarie

08 Luglio 2023 10:46

E’ boom di licenziamenti volontari anche a Piacenza. Lo segnala la Cisl sulla base dei dati dell’ufficio dimissioni che alla fine di giugno hanno registrato gli stessi accessi, lo stesso numero di pratiche che c’erano state due anni fa.

Nell’ultimo biennio, la pandemia e le chiusure hanno portato a un numero record di dimissioni volontarie dal lavoro anche nel resto dell’ Emilia-Romagna. Nel 2022, 206.368 lavoratori dipendenti del settore privato hanno lasciato i loro posti di lavoro, un aumento del 28,81% rispetto al 2021 (182.208 dimissioni). Anche il 2021 ha segnato un aumento del 11,7% rispetto all’anno precedente. La grande fuga, talvolta anche dal cosiddetto “posto fisso”, è in atto in tutte le province emiliane.

Le statistiche regionali mostrano che l’incidenza delle dimissioni volontarie nel 2022 ha coinvolto il 13,7% dei lavoratori privati, con un leggero divario tra uomini (14,5%) e donne (12,8%). La gran parte delle dimissioni deriva dai lavoratori più giovani, e i settori più colpiti sono il commercio, la manifattura e le attività professionali, scientifiche e tecniche.

L’analisi della Cisl attribuisce l’aumento delle dimissioni a diversi fattori. Molte persone lasciano il lavoro a causa della precarietà strutturale e dell’instabilità contrattuale. Le basse retribuzioni e le lente progressioni di carriera hanno anch’esse contribuito alla fuga di lavoratori. Nonostante l’aumento delle assunzioni a tempo indeterminato negli ultimi due anni, le retribuzioni sono rimaste stagnanti e i percorsi di carriera al rallentatore. Secondo la Cisl, solo il 2,91% dei lavoratori dipendenti riceve i riconoscimenti professionali più alti.

Michele Vaghini, segretario generale della Cisl Parma Piacenza, osserva: “Chi non si riconosce nell’attività che svolge, per i più diversi motivi, è tendenzialmente meno motivato a investire sulla permanenza nel posto di lavoro e sull’accrescimento di sé e della propria professionalità”.

“In conclusione, le condizioni di lavoro precarie, le basse retribuzioni e le scarse opportunità di crescita professionale sembrano essere i principali fattori che spingono i lavoratori a lasciare i loro posti di lavoro. E’ una questione di opportunità: la crescente domanda, soprattutto di alcuni settori, ha fatto sì che molti cambiassero lavoro per uno stipendio più alto, per un avvicinamento a casa o per la possibilità di lavorare in modo agile. Quest’ultima motivazione è di chi, negli ultimi due anni, ha cambiato radicalmente il proprio modo di lavorare e quindi anche il proprio approccio al lavoro: chi era abituato a viaggiare molto e improvvisamente si è trovato a lavorare da casa, ad esempio, ha rivalutato aspetti che prima erano marginali o che avevano uno spazio differente come la famiglia, il tempo libero, la cura di sé o delle proprie passioni”.

“Insomma, conclude Vaghini, quando si cambia lavoro non sempre alla base è una questione economica anche se va sicuramente detto che il precariato ci mette molto del suo: leggasi tipologie contrattuali non stabili, che riguardano il 26% dei lavoratori dipendenti nel settore privato, il 29,39% nel caso delle donne e il 49% tra i giovani fino a 29 anni”.

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