Il Consiglio europeo lancia la sfida: neutralità climatica entro il 2050

29 Giugno 2021 13:30

Nel giro di trent’anni emettere meno gas serra di quanto la Terra ne possa assorbire. È questo l’ambizioso obiettivo che si è posta l’Unione europea con la normativa sul clima approvata dal Consiglio europeo lo scorso 28 giugno. La fine di una lunga corsa inaugurata nel novembre 2018 – mese in cui l’Ue ha dato via all’iter di preparazione – ma anche l’inizio di un percorso tortuoso e complicato. Con la nuova normativa l’Unione europea si è ripromessa – ed ha promesso ai cittadini – di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Che significa? L’economia europea entro quell’anno dovrà emettere tanto gas ad effetto serra quanto la Terra è in grado di assorbire. In altre parole, ridurre l’emissione di sostanze inquinanti ad un livello tale per cui il pianeta sarà in grado di “smaltirle”, realizzando quella che viene definita “emissione netta zero”. Da quell’anno in poi la Terra, per quanto riguarda la quota di emissioni dell’Ue, dovrebbe essere in grado di riassorbire progressivamente la CO2 emessa nei decenni precedenti, riducendo l’impatto sul clima e, in primis, sull’aumento delle temperature.

“L’Europa ha la sua prima legge sul clima. I giovani erano scesi in strada per chiedere all’Ue di agire e l’Ue lo ha fatto. Questa legge porterà ad un’Europa ad una neutralità climatica dell’Ue entro il 2050”, ha dichiarato su Twitter il presidente del Consiglio europea Charles Michel.

In realtà Bruxelles si è data un traguardo più vicino nel tempo, imponendosi di ridurre le emissioni di almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990 già nel 2030. Tra le altre, sono due le leve principali su cui l’Ue vuole puntare e che sono di più stretta attualità. La prima è il Next generation Eu. In queste settimane la Commissione europea sta infatti approvando i Recovery plan nazionali, ovvero la lista di opere e riforme che i singoli Stati realizzeranno utilizzando i fondi del Recovery fund. Ebbene, la Commissione europea ha imposto agli Stati di indirizzare almeno il 37% delle risorse a loro assegnate alla voce “investimenti e riforme per il clima”, con l’obiettivo di facilitare la transizione energetica. La seconda leva riguarda invece l’Ets, l’Emission trading scheme. Meno conosciuto rispetto ad altri mercati, l’Ets è il sistema europeo per lo scambio delle emissioni di gas ad effetto serra. Il suo meccanismo è in realtà piuttosto semplice. L’Unione europea fissa un tetto massimo di gas serra che gli stabilimenti industriali operanti negli Stati membri possono emettere complessivamente. I vari impianti acquistano o ricevono quote di questa emissione totale in base alle proprie necessità: uno stabilimento più inquinante dovrà detenere più quote mentre un altro che ha ridotto le proprie emissioni potrà vendere la propria quota di emissioni ormai diventata sovrabbondante. Il 14 luglio prossimo è attesa proprio la presentazione della riforma dell’Ets da parte della Commissione europea. Il contenuto non è ancora noto ma secondo indiscrezioni Bruxelles abbasserà il tetto massimo di emissioni ed estenderà il mercato anche emissioni anche al trasporto delle merci. Secondo alcune stime questa riforma e le necessità del mercato potrebbero far salire il “prezzo della CO2” più del 50% da qui al 2030, toccando gli 85 euro a tonnellata. A fine giugno il prezzo viaggiava attorno ai 55 euro, comunque in crescita rispetto ai circa 33 euro di inizio 2021 (riferimento ai futures di dicembre 2021).

Nel regolamento collegato alla “Normativa europea sul clima” l’Ue riporta comunque i traguardi che i Paesi membri hanno già raggiunto nel corso degli anni: “Sotto l’impulso del quadro normativo definito dall’Unione e degli sforzi compiuti dalle industrie europee, è possibile dissociare la crescita economica dalle emissioni di gas a effetto serra. Ad esempio, le emissioni di gas a effetto serra nell’Unione sono state ridotte del 24 % tra il 1990 e il 2019 mentre, nello stesso periodo, l’economia è cresciuta del 60%”.

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